Il nostro utilizzo di plastica inquina, ma è pericoloso anche per l’organismo umano, dato che ne ingeriamo parecchio, nello specifico si tratta di microplastiche. Ne ingeriamo 2000 frammenti a settimana, per un totale di 5 grammi, praticamente il peso di una carta di credito. In totale fa 250 grammi l’anno.

A dirlo è uno studio commissionato dal Wwf dal titolo No Plastic in Nature: Assessing Plastic Ingestion from Nature to People, che è stato svolto dall’Università di Newcastle in Australia, sulla base di 50 ricerche precedenti. Ma da dove vengono le microplastiche che ingeriamo? Quelle sotto i 5 millimetri sono nell’acqua – sia del rubinetto che quella confezionata – poi ci sono i frutti di mare, la birra e il sale.

Mentre le ricerche indagano sui potenziali effetti negativi sulla salute umana – spiega Marco Lambertini, direttore internazionale del Wwf all’Ansa – è chiaro a tutti che si tratta di un problema globale, che può essere risolto solo affrontando le cause alla radice. Se non vogliamo plastica nel corpo, dobbiamo fermare i milioni di tonnellate di plastica che continuano a diffondersi nella natura. È necessaria un’azione urgente a livello di governi, di imprese e di consumatori, e un trattato globale con obiettivi globale.

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Naturalmente lo studio punta a non creare allarmismi, come precisa Focus. Nella ricerca sono stati presi in considerazione solo le microparticelle con una massa del diametro di un millimetro, ma non delle fonti dirette di plastica che non presentavano dati sufficienti, come spazzolini da denti, latte, riso, pasta e packaging alimentare.

Sicuramente la concentrazione di microplastiche ha delle varianti regionali: Stati Uniti e India possiedono un’acqua più inquinata di Europa e Indonesia. Non si conoscono gli effetti di queste sostanze sulla salute – anche se si pensa che potrebbero avere effetti nocivi su polmoni, fegato e cervello e forse anche sulla fertilità – ma si sa che una volta nell’organismo non si possono rimuovere.

Ma qual è la concentrazione di microplastiche negli alimenti e nelle bevande più inquinate? Come riporta Open, uno studio dell’università di New York ha stabilito che tutti i marchi di acqua in bottiglia presentano microparticelle. Che pure sono presenti nel 72,2% dell’acqua di rubinetti d’Europa.

I frutti di mare sono un ricettacolo di queste sostanze, perché li mangiamo interi e quindi consumiamo anche le sostanze inquinanti che si trovano nel loro apparato digerente. A partire dall’anno 2000, noi consumatori abbiamo prodotto la stessa quantità di plastica della precedente storia mondiale e un terzo di essa viene dispersa nell’ambiente: ogni anno sprechiamo 500 miliardi di bicchieri e un trilione di sacchetti di plastica. Una soluzione potrebbe essere ridurre i consumi di questo materiale, oppure ricorrere a materie plastiche che siano quanto meno biodegradabili.

Come spiega Elle, le microplastiche primarie sono rilasciate direttamente nell’ambiente – provengono anche da alcuni cosmetici come scrub e glitter – e le microplastiche secondarie vengono dalla degradazione dei rifiuti in plastica. Si stima che un terzo del pescato entro il 2025 sarà praticamente plastica e solo i due terzi pesce.

L’inquinamento da microplastiche opera potenzialmente sull’organismo umano, dicevamo, ma di certo è dannoso per l’ambiente, perché altera le condizioni del suolo, lo impregna di sostanze chimiche e presenta un impatto devastante su piante e animali. Quindi, sforziamoci di consumare meno plastica, di buttare meno plastica, di sprecare meno plastica. Certo, farne a meno del tutto sarebbe l’ideale.

Non ce lo chiede Greta Thunberg, ma la nostra coscienza: cerchiamo di lasciare ai posteri, alle future generazioni, un pianeta sano e vivibile. Anche se forse abbiamo esagerato in passato, con un po’ di sforzo da parte di tutti le cose possono cambiare.

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