I ritmi circadiani, le oscillazioni biologiche basate sul nostro orologio interno, hanno un profondo effetto sulla fisiologia umana e sulla funzione cellulare e, quindi, sulla salute e la malattia del corpo.

Da alcuni anni si sta affermando la cosiddetta “medicina circardiana” – conosciuta anche come cronoterapia o cronofarmacologia – che non solo studia le connessioni tra il nostro orologio biologico e il benessere dei nostri corpi, ma cerca di applicare le ricerche alla pratica. Se è noto, infatti, che certi farmaci – ad esempio – hanno un’efficacia maggiore se assunti in determinati momenti della giornata, secondo le ricerche questo non è l’unico aspetto che è influenzato dai nostri ritmi circadiani.

Già nel 2017, il 108° premio Nobel per la fisiologia o la medicina è stato assegnato a un trio di scienziati americani per le loro scoperte sui meccanismi molecolari che controllano i ritmi circadiani – in altre parole, l’orologio corporeo.

Secondo il comitato che ha assegnato loro il Nobel, Jeffrey C Hall, Michael Rosbash e Michael W Young sono stati riconosciuti per le loro scoperte che spiegano «come piante, animali e esseri umani adattano il loro ritmo biologico in modo che sia sincronizzato con le rivoluzioni della Terra». Quando c’è una discrepanza tra questo “orologio” interno e l’ambiente esterno, può influenzare il benessere dell’organismo – per esempio, negli esseri umani, quando sperimentiamo il jet lag.

Le ricerche sono proseguite e nel 2019 un articolo pubblicato su Nature spiegava:

Gli studi sul trascrittoma, sul metaboloma e sul proteoma dell’intero genoma hanno migliorato la nostra comprensione della regolazione circadiana. Questa conoscenza viene sfruttata per interventi comportamentali che ottimizzano i ritmi quotidiani, i tempi di somministrazione dei farmaci e il targeting dei componenti dell’orologio per prevenire o curare le malattie croniche.

Un numero sempre maggiore di ricerche mostra che l’ora del giorno in cui trattiamo la malattia può essere cruciale e che è possibile individuare l’ora del giorno in cui una certa malattia è peggiore. Non solo: l’orario può influenzare addirittura l’efficacia del vaccini. Come ha ricordato Amelia Tait nell’articolo Time for your medicine: unlocking the power of our body clocks sul Guardian,

La cronofarmacologia è un campo pieno di studi sbalorditivi da tirare fuori al pub: nel 2011, i ricercatori dell’Università di Birmingham hanno monitorato le persone che avevano le loro colpi influenzali al mattino rispetto a quelle che le avevano nel pomeriggio. Un mese dopo, i pazienti che hanno ricevuto la vaccinazione tra le 9 e le 11 avevano livelli più alti di anticorpi anti-influenza rispetto ai pazienti colpiti tra le 15:00 e le 17:00.

Anche un lunghissimo approfondimento pubblicato in luglio sul New York Times firmato da Kim Tingley, The Quest by Circadian Medicine to Make the Most of Our Body Clocks ha riassunto decenni di studi di successo che hanno mostrato come la medicina cicardiana possa aiutarci a trarre il massimo dai nostri corpi, massimizzando le terapie e premendo alcune cure.

Nonostante i risultati, però, c’e ancora cautela. Secondo Robert Dallmann, biologo circadiano e professore di scienze biomediche all’Università di Warwick, il campo sta ancora emergendo: «C’è stata per molto tempo la sensazione che questo fosse troppo complicato» ha detto al Guardian.

Del resto, nonostante il potenziale rimangono delle questioni in sospeso. Se gli scienziati hanno scoperto che le vaccinazioni antinfluenzali sono più efficaci al mattino più di un decennio fa – si è chiesta retoricamente Tait – allora perché non tutti vengono vaccinati alle 9 del mattino? Abitudini, burocrazia, (in)capacità del sistema sanitario sono solo alcune delle risposte.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!