La menopausa è un preciso momento della vita femminile che desta una particolare attenzione da un punto di vista biologico, poiché quella umana è l’unica specie a contemplarlo.

Nessun’altra specie prevede un periodo della vita femminile post-riproduttivo, che non consenta cioè di garantire la fitness, concetto biologico che indica la capacità di un organismo di riprodursi e replicare i propri geni. Ogni altra specie di primati e mammiferi prevede infatti la possibilità di procreazione da parte delle femmine anche durante la vecchiaia.

Viene quindi da chiedersi perché la selezione naturale abbia favorito la menopausa, e cioè una vita post-riproduttiva nella donna, se la definizione biologica di vita richiede di per sé la capacità di riprodursi. Un interrogativo che ha di certo una risposta, cosa che risulta ancora più certa, se si considera che attualmente i due terzi della popolazione sopra i sessant’anni e i tre quarti sopra i settanta sono femmine e che nel 2030 l’aspettativa di vita per la donna in Occidente sarà di circa novant’anni, dieci anni in più rispetto all’uomo. Condizioni che non possono essere spiegabili dal semplice caso.

È in questo contesto che nasce l’ipotesi della nonna: ecco di che si tratta, quali sono le sue origini e le sue possibili implicazioni future all’interno dei cambiamenti che il tessuto sociale ed economico ci impone.

Cos’è l’ipotesi della nonna?

Negli anni Novanta Kristen Hawkes, un’antropologa dell’Università dello Utah, ha fornito la prima vera teorizzazione dell’ipotesi della nonna, studiando il popolo Hadza, una società tribale di cacciatori-raccoglitori nel nord della Tanzania, basata su un’economia pre-agricola, ossia solo sulla caccia e l’uso di cibi selvatici. Hawkes fu colpita da quanto fossero produttive queste vecchie signore nel procacciarsi il cibo, e proprio questo dettaglio permise alla ricercatrice di arrivare alla formulazione della teoria. Vediamo come.

La raccolta di cibo, come tuberi o radici, di cui vive la società oggetto dello studio è un’attività molto impegnativa, a cui si dedicano anche le giovani donne della tribù, per provvedere al sostentamento dei propri figli, i quali non sono chiaramente in grado di procurarsi il loro fabbisogno energetico giornaliero. Le mamme, però, non riescono a farlo nel periodo in cui devono accudire un nuovo nato, almeno fino al suo svezzamento, ed ecco che a questo punto l’intervento della nonna materna diventa decisivo nel sostenere il nutrimento dei nipoti e della figlia stessa, favorendo in questo modo il successo riproduttivo della figlia e, in senso lato, della specie.

Da questa lettura, si può sostenere che la biologia evolutiva abbia selezionato la nonna come un adattamento vincente per la nostra specie, allo scopo di far fronte alla crescita dei bambini e al loro protratto bisogno di accudimento, che nella specie umana risulta più lungo rispetto alle altre specie.

A conferma di questa ipotesi, citiamo anche uno studio che ha preso in esame una popolazione del Seicento, in era preindustriale, durante il periodo del colonialismo francese, in quello che è l’attuale Quebec. Nello specifico, lo studio, condotto da Sacha Engelhardt, un ricercatore dell’Università di Berna, evidenzia come la vicinanza geografica tra madre e figlia influisse nella possibilità di riproduzione della figlia.

Engelhardt ha analizzato alcuni gruppi di sorelle, mettendo a confronto quelle che si sono allontanate dalla casa materna e quelle che invece vi sono rimaste vicine. Dall’analisi è emerso che vivere vicino alla nonna agevolava la formazione di una famiglia numerosa. Nello specifico, le donne che vivevano a 200 miglia dalla mamma avevano in media 1,75 figli in meno delle loro sorelle che vivevano nella stessa parrocchia della madre. Non solo, essere geograficamente vicini alla nonna aiutava a frenare la mortalità infantile, molto diffusa all’epoca, in cui circa la metà della prole moriva prima dei 15 anni, e permetteva alle madri di iniziare ad avere figli ad un’età più giovane.

Stando a questi studi, dunque, la menopausa diventando una strategia per favorire la sopravvivenza della specie umana, è stata poi a sua volta favorita dall’evoluzione.

L’ipotesi della nonna nei giorni nostri

Se ci pensiamo bene, la nostra attuale struttura socio-economica non è molto dissimile da quella degli Hazda, né da quella delle antiche società preindustriali del Quebec: ad oggi la struttura familiare si regge anche sulle spalle delle nonne – e dei nonni. Più le prime che i secondi, dato che l’allontanamento dall’assunto patriarcale per cui l’accudimento della prole è solo a carico della donna è una conquista recente (e nemmeno pienamente raggiunta). Sono loro in molti casi ad occuparsi dei nipoti, ad accompagnarli a scuola o ad intrattenerli dopo la scuola, permettendo alle madri e alla loro famiglia di reggersi da sole e consentendo anche a queste ultime di dedicarsi ad altre gravidanze.

Non solo, ad oggi in molti casi sono nonne e nonni a sostenere economicamente, con la loro pensione e i loro aiuti, i bisogni della famiglia. In un certo senso, la sopravvivenza dei nuovi nuclei familiari è agevolata anche grazie alla presenza di queste figure. Anche oggi, dunque, l’ipotesi della nonna troverebbe un valido fondamento.

Per questo si è parlato e si parla di “ipotesi della nonna”, anche se i cambiamenti sociali e le evoluzioni culturali degli ultimi decenni hanno comunque inserito in questo discorso le figure dei nonni in senso lato.

Il futuro dell’ipotesi della nonna

I cambiamenti sociali ed economici a cui abbiamo assistito e stiamo assistendo potrebbero però portare a un ribaltamento di questa situazione.

L’allungamento dell’aspettativa di vita e i costi sanitari ad esso collegati portano oggi lo Stato a investire maggiormente nei servizi dedicati alla terza età, questo succede in particolare nel nostro Paese. In Italia, la spesa sociale rivolta agli anziani e la spesa sanitaria sono decisamente più elevate rispetto alle risorse economiche destinate alla famiglia e all’età infantile: parliamo di un 86,7% contro un bassissimo 4,4%.

È evidente che si viene a creare un possibile capovolgimento delle prospettive socio-culturali: la nonna – e quindi la fase matura della vita femminile – sarebbe stata pensata per sostenere il bambino e favorire la sopravvivenza della specie, ma i cambiamenti attuali e futuri ci impongono di ritenere che il bambino stesso sarà a sua volta necessario per sostenere con il suo lavoro l’economia e garantire il mantenimento delle persone più anziane.

Un altro studio, condotto da Simon Chapman, un ricercatore presso l’Università di Turku in Finlandia, aveva del resto già messo in luce questo aspetto, e cioè che l’ipotesi della nonna abbia di fatto una sua validità fino a una certa età, per poi diventare una figura che necessita a sua volta di cura e assistenza, che lei stessa con la sua vita ha garantito negli anni a figli e nipoti.

Lo studioso per sostenere questa teoria ha analizzato una civiltà finlandese preindustriale tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, nella quale le figlie vivevano per la quasi totalità vicino ai genitori. Lo studio mostra che la capacità delle nonne di aiutare le figlie e la loro famiglia non si manteneva costante nel corso degli anni, ma registrava un picco, per poi subire un arresto dopo una certa età. In media, le donne diventavano nonne all’età di 40 anni, e il numero di nipoti di cui si prendevano cura aumentava costantemente, fino a raggiungere un picco nei primi 60 anni per poi diminuire nella metà dei 70 anni.

Dall’analisi è emerso che una nonna tra i 50 e i 75 anni ha aumentato del 30% le possibilità di sopravvivenza di un bambino dai 2 ai 5 anni. I ricercatori dello studio hanno però anche scoperto che i benefici della presenza della nonna, ai fini di una più facile gestione dei figli e della creazione di una famiglia numerosa, si sono esauriti dopo che quest’ultima aveva superato i 75 anni. Infatti, guardando i dati dello studio, la presenza di una nonna over 75 ha ridotto del 37%la probabilità di sopravvivenza di un bimbo dell’età di 2 anni.

La menopausa dunque risulterebbe una strategia vincente per favorire la sopravvivenza della specie, ma solo fino a un certo punto. Non è infatti un caso, come suggerisce Chapman, che i tassi di mortalità delle nonne aumentino proprio quando arriva questo calo di opportunità di aiuto.

Ma è altrettanto evidente che gli ultimi decenni hanno portato a sostanziali modifiche nelle vite delle persone e nella società in generale, si pensi ad esempio a una più alta scolarizzazione che ritarda il momento dell’ingresso nel mondo del lavoro e quello della creazione di una famiglia, è quindi lecito assistere anche a un diverso scenario rispetto ai ruoli biologicamente pensati dall’evoluzione per la salvaguardia della specie umana.

Ma quello che ancora oggi vale è che la menopausa rappresenta a tutti gli effetti un’età della vita femminile fondamentale, e non solo per l’aiuto dal punto di vista pratico che può garantire a figli e nipoti, ma anche grazie alle capacità cognitive della donna in questa fase più matura e al bagaglio culturale che può fornire e tramandare.

Sono proprio queste le motivazioni che dovrebbero portarci a riservare una maggiore considerazione nei confronti di questa fase, troppo spesso sottovalutata e denigrata. L’allungamento dell’aspettativa di vita, e di conseguenza del periodo della menopausa, è una riconferma dell’importanza che questa età femminile ha continuato e continua ad acquisire negli anni.

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