


L'ipersensibilità emotiva, quando ogni emozione viene vissuta "senza pelle" e per questo motivo ci si può sentire sbagliati o rimanere intrappolati in un loop di incapacità nella gestione di emozioni, situazioni, rapporti umani. Vediamo cosa c'è dietro e come conviverci.
Insomma, in situazioni di questo genere è possibile che ci si trovi ad affrontare una situazione di ipersensibilità emotiva, in cui ogni emozione viene vissuta come se si fosse senza pelle. Si potrebbe rispondere: non è così semplice imparare ad affrontare gli imprevisti. Verissimo.
Ma per coloro che soffrono di ipersensibilità emotiva, è pressoché impossibile. Va sottolineato che essere ipersensibili non è una malattia e che il termine “soffrire” va utilizzato in senso lato e interpretato con molta cautela. Spesso l’ipersensibilità emotiva può essere vista in maniera positiva, anche se forse è più importante approfondirne gli aspetti negativi.
I soggetti caratterizzati da ipersensibilità emotiva finiscono col perdere il controllo, focalizzandosi sui particolari e perdendo la visione globale delle cose, reagendo a cose che ad altri sarebbero passate inosservate, come una frase scherzosa, un avvenimento imprevisto che in linea generale può essere giudicato come di poco conto.
Elaine Aron, psicologa e ricercatrice, nel 2012 pubblica un testo dove ripercorre le teorie e le ricerche esistenti sul Sensory Processing Sensivity, appunto, l’ipersensibilità emotiva.
La Aron, assieme al marito neurologo, produce un test utile per evidenziare le caratteristiche fondamentali del soggetto che presenta ipersensibilità emotiva, definito Highly Sensitive Person o People– HSP.
Il lavoro di ricerca e di raccolta della Aron, iniziato nel 1991, evidenzia l’ipersensibilità emotiva e la identifica come un tratto della personalità, ma genera una risposta anche a un importante interrogativo del settore, il quale solleva la possibilità di un collegamento fra ipersensibilità emotiva e caratteristiche come introversione, ansia, depressione o nevrosi.
L’attento studio conclude definendo certamente un collegamento fra ipersensibilità emotiva, nevrosi e introversione, ma creando una netta distinzione tra i fenomeni.
La Aron, attingendo a vari altri studi del passato, appura che un 10-15% delle persone connotate da ipersensibilità emotiva sono caratterizzate da una predisposizione genetica. Tutto ciò la porta a domandarsi quale fosse il motivo alla base di una caratteristica genetica di tendenza alla depressione per una così alta percentuale di soggetti.
Nel 2005, quindi, evidenzia che le persone caratterizzate da ipersensibilità emotiva che avevano avuto un’infanzia problematica avevano più probabilità di soffrire di ansia o depressione rispetto a coloro con un’infanzia problematica ma non ipersensibili.
Nei suoi studi, la psicologa analizza come anche lo stress quotidiano e lo stile di vita, negli ipersensibili più che nei non ipersensibili, possano gettare le basi per i sintomi di ansia e depressione.
Ad ogni modo, è frequente che gli individui con ipersensibilità emotiva abbiano alle spalle un’infanzia difficile, in quanto la loro personalità spesso non viene compresa o viene giudicata come invalidante.
In questo senso, la parte negativa dell’ipersensibilità emotiva emerge e pesa nel contesto di vita del soggetto, facendolo sentire diverso, sbagliato, etichettato come inappropriato o debole.
L’ipersensibilità emotiva rende la vita complicata a chi la sperimenta, poiché a tratti si trasforma in una prigione invisibile e questo può generare alcuni problemi nell’arco della vita, nella sfera personale e sociale.
Ma cosa accade esattamente nella vita di un ipersensibile?
Un input fondamentale per l’ipersensibilità emotiva è la scarsa autostima, un fattore che senza dubbio conduce la persona a tenere in eccessiva considerazione tutto ciò che dice la gente. Nella sua testa, quando gli altri non rispecchiano le aspettative o non si verifica ciò che ha programmato, si aprono sentimenti di irritazione o fastidio.
Nei rapporti, si giudica sempre impacciato e inadatto, sia in contesti sociali che nei momenti d’intimità con un partner. Sostanzialmente, chi ha come connotato l’ipersensibilità emotiva vive costantemente in allerta rispetto al giudizio di amici, partenti e partner.
Appare quindi imprescindibile, in tale discorso di analisi, sottolineare come l’ipersensibilità emotiva sia una maschera della propria insicurezza e una sorta di cuscinetto per la propria autostima.
L’origine dell’ipersensibilità emotiva è da ricercare nel periodo più importante per un essere umano: l’infanzia. Un individuo che nasce in un ambiente familiare poco stabile o sicuro e con scarso attaccamento, nel tempo non sarà in grado di capire e vivere le proprie emozioni e di esprimerle nel modo più giusto per la sua felicità.
In tal caso, nei rapporti affettivi avrà delle lacune e non sarà in grado di viverle con sufficiente sicurezza. Questo perché, quando si è bambini, si è necessariamente un foglio bianco di emotività: i bimbi, già nei primi mesi di vita provano felicità, disgusto, paura, ma crescendo il raggio di emozioni si allarga.
I bambini che hanno compiuto i due mesi, e fino ai sei mesi, possono provare rabbia, paura, tristezza, sorpresa; a quattro mesi riescono a fare distinzione fra le espressioni emotive di chi li circonda e a sei mesi hanno la capacità di imitarle.
Oltre al normale processo naturale, il ruolo dell’accudimento e quindi le figure genitoriali sono fondamentali nel processo di sviluppo emotivo e hanno quindi un peso nell’eventuale sopraggiunta dell’ipersensibilità emotiva.
Il bambino ha necessità di ricevere l’approvazione emotiva, il confronto, una situazione mediante la quale ricerca l’accettazione totale dell’emotività già sviluppata di chi ha intorno. Se tale situazione si verifica in maniera adeguata ed equilibrata, l’adulto del futuro saprà individuare e capire le proprie emozioni.
Contrariamente, quando questo processo non si sviluppa correttamente o, peggio, non si sviluppa affatto, il bambino non è in grado di costruire il proprio bagaglio emotivo, poiché si vede respingere, ignorare o giudicare le proprie.
Per questo motivo, crescerà credendo che le emozioni siano un errore e che vadano represse o ignorate. La motivazione sta nel fatto che non ha avuto, al momento opportuno, la possibilità di sperimentarle e quindi imparare a gestire quelle che, necessariamente, si presenteranno nel corso della vita.
L’ipersensibilità emotiva può essere gestita attraverso una giusta dose di autocontrollo emotivo, cercando di lavorarci il più possibile. Si tratta di un elemento che permette di imparare a gestire le proprie emozioni in maniera corretta, senza esasperarle né reprimerle, in modo da non intaccare la propria serenità e quella degli altri.
Per arrivare a ciò, è necessario munirsi degli strumenti che consentano, psicologicamente, di controllare la rabbia, lo stress, il nervosismo. Non significa “reprimere” o cancellare, ma individuare sentimenti ed emozioni e utilizzarli nella funzione per la quale sono predisposti, non per intaccare il resto.
Intraprendere un percorso terapeutico o scegliere delle tecniche di rilassamento sono le scelte più consigliate, poiché le conseguenze positive che si generano nella vita quotidiana da un approccio sano alle emozioni sono molteplici, psicofisiche ma anche relazionali.
Articolo originale pubblicato il 5 Ottobre 2021
Sono nata con i libri in una mano e la penna nell'altra. La mia visione della vita: studiare, imparare, cambiare, per avere sempre nuove storie da raccontare!
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