L’autolesionismo è un problema di cui temiamo si parli sempre troppo poco. Negli anni ’90, qualcuno ha iniziato a parlarne all’interno dei teen drama statunitensi, come Beverly Hills 90210, ed è anche accaduto che chi già lo praticava, ha dato un nome al suo disturbo. Parliamo di depressione, di suicidio, di ansia, di attacchi di panico, ma l’autolesionismo ci appare come qualcosa di ancora molto strisciante, qualcosa che non comprendiamo. Come riporta BoredPanda, tuttavia, una persona su cinque, al mondo, lo pratica.

Come funziona? L’autolesionista si potrebbe sentire sopraffatto sia da situazioni consuetudinarie sia da questioni improvvise e, di nascosto, si infligge dolore attraverso dei tagli sul corpo. Molti sanno dei tagli che ci si infligge su braccia e gambe (cioè le forme che abbiamo visto tutte al cinema e in televisione), ma in realtà l’autolesionista opera anche su altre zone, meno visibili – perché braccia e gambe potrebbero essere scoperte dai vestiti o quando si fa attività fisica. Dall’esterno non traspare nulla: i tagli vengono coperti, tenuti segreti. Finché non si ammette di avere un problema e si inizia una terapia.

C’è dell’altro naturalmente. Oltre al fatto che si tratta di un disturbo mentale a tutti gli effetti, ci possono essere ricadute negative anche sulla salute fisica in senso stretto. Può scappare la mano, i tagli possono diventare profondi ed essere scambiati per un tentato suicidio. Si possono infettare e si può morire se non ci si cura adeguatamente. E il paradosso è che l’autolesionista, a differenza dell’aspirante suicida, non vuole morire. Con l’autolesionismo ci si sente già vivi, perché il gesto permette il rilascio di endorfine. Questo non vuol dire che faccia bene.

Cos’è che fa bene e permette analogamente il rilascio di endorfine? Be’, il sesso è una di queste cose. Ma poi c’è la sua gestione emotiva, che può peggiorare la faccenda. C’è poi il cibo, come la cioccolata, ma non sempre può risultare facile fermarsi e magari degenerare in un disturbo alimentare, finendo dalla padella nella brace. C’è una sola cosa che permette il rilascio di endorfine e non ha controindicazioni: l’arte.

L’arte ci appaga visivamente e interiormente. Ci fa sentire bene, ci soddisfa. E c’è un’arte particolare, che può essere praticata al posto dell’autolesionismo, e prende il nome di Zentangle. Questo tipo di arte è stata consigliata a una giovane donna, che ha lasciato alle spalle l’autolesionismo su consiglio del terapista. Ha pubblicato un post sui propri canali social – con il nickname di a-better-m-e – per raccontare la sua esperienza, a corredo di un’immagine in cui mostra come ha concretizzato questa forma d’arte.

Il mio terapista – ha scritto – mi ha detto che invece di farmi del male, potrei disegnare qualcosa di carino dove voglio tagliarmi. Questo è il risultato. E funziona, onestamente. Se si sta combattendo contro l’autodistruzione, lo raccomando davvero. (Accertatevi di usare un pennarello e non una penna, perché una penna potrebbe farvi male).

Si tratta di una scelta interessante, che funziona, come attestano anche i commenti e i feedback che la giovane donna ha ricevuto. Ora lei disegna sulle parti del corpo che prima tagliava. Ed è come se ora riuscisse a lenire le ferite dell’anima senza infliggerne altre al suo corpo. Ma che cos’è l’arte dello Zentangle? Si tratta di rappresentazioni astratte – assomigliano un po’ a quegli “scarabocchi” che tante tra noi avranno fatto a scuola sui quaderni a quadretti quando si annoiavano durante la lezione.

Si tratta di linee che si intersecano a creare dei pattern, dei modelli, che possono diventare figure come fiori e piante, oppure semplicemente simboli astratti, simmetrici o asimmetrici, incredibilmente suggestivi. La cosa bella di quest’arte è che tutti la possono praticare, senza preoccuparsi del risultato, perché nessuno conosce dall’inizio cosa verrà fuori dal proprio disegno, ma è sempre una bella, bellissima sorpresa.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!