Health gap: perché i medici non credono al dolore delle donne o lo sottovalutano
Che cos'è l'health gap, ovvero il motivo per cui al dolore delle donne si tende a "credere meno". Dipende davvero solo dal fatto che noi sopportiamo meglio?
Che cos'è l'health gap, ovvero il motivo per cui al dolore delle donne si tende a "credere meno". Dipende davvero solo dal fatto che noi sopportiamo meglio?
Un banale luogo comune piuttosto sessista (perché sì, il sessismo vale anche al contrario) dice che gli uomini con 37 di febbre sono praticamente in punto di morte, mentre le donne a 39 fanno ancora i salti mortali.
Per quanto non ci piaccia tirare in ballo vecchi cliché, questo in particolare punta a rimarcare la differenza nella percezione del dolore tra donne e uomini, con le prime che vengono giudicate più capaci di sopportarlo rispetto a quello che un tempo era considerato il “sesso forte”. E, del resto, quante volte si parla della forza femminile di affrontare il parto, che certamente non è da ritenersi una passeggiata?
Se la sopportazione del dolore possa avere o no una classificazione sulla base del genere di appartenenza non lo sappiamo, ma una cosa è certa: nelle strutture ospedaliere il dolore delle donne resta generalmente molto più inascoltato rispetto a quello degli uomini. E i motivi sono molteplici.
Ma cosa c’è alla base di quello che viene definito health gap?
Si tratta esattamente di quanto abbiamo detto poc’anzi: molto spesso i dolori accusati dalle donne che si presentano in ospedale vengono banalizzati, sottovalutati se non addirittura ignorati dal personale medico.
Non siamo noi a dirlo, ma la BBC, che ha pubblicato una serie di 18 articoli intitolata proprio The Health Gap, in cui si analizza la disparità di trattamento sanitario tra i sessi, tra tempi di attesa al pronto soccorso, pregiudizi dei medici rispetto alle donne che arrivano lamentando dei sintomi, fino alla alla riluttanza a prescrivere antidolorifici.
Perché esiste questo gap? Perché, spiega la BBC, la base della medicina si occupa quasi esclusivamente della fisiologia maschile; tanto che, come riporta uno studio pubblicato sul The New England Journal of Medicine, in caso di infarto, per fare un esempio, le donne hanno sette volte le probabilità di un uomo di ricevere una diagnosi errata e di essere dimesse dal pronto soccorso, a causa della diversità dei sintomi manifestati che inducono i medici in errore, dato che questi ultimi sono preparati per riconoscere quelli maschili.
Allo stesso modo, la maggior parte dei farmaci viene testata sul prototipo maschile di 70 chili, da cui consegue che i dosaggi consigliati facciano riferimento a questo standard, senza tener conto delle differenze esistenti nella capacità di metabolizzazione dei principi attivi. Ecco perché le donne risentono di maggiori effetti collaterali.
Ma l’health gap si basa anche sulla percezione del dolore stessa che, come rivela Harvard Health Blog, investe, cronico, le donne nel 70% dei casi, e nonostante ciò l’80% degli studi in proposito sono condotti su pazienti di sesso maschile.
Un altro studio, citato dalla BBC, ad esempio, ha rilevato che le donne che riferiscono di avere dolore acuto nei pronto soccorso hanno meno probabilità di ricevere analgesici oppioidi (il tipo più efficace) rispetto agli uomini, mentre in un altro, condotto in Svezia nel 2014, emerge che meno spesso le donne vengono classificate con il codice di urgenza in pronto soccorso.
Le conseguenze, chiaramente, possono essere pericolosissime: l’articolo riporta un caso di cronaca accaduto nel maggio del 2018 in Francia, quando una donna di 22 anni che ha chiamato l’ambulanza a causa di dolori addominali spiegando che si sentiva morire si è sentita rispondere “Morirai un giorno, come tutti gli altri”, dall’operatore. Quando la donna è finalmente stata portata in ospedale, dopo un’attesa di cinque ore, ha avuto un ictus ed è deceduta.
Secondo un articolo firmato da Catriona Harvey-Jenner e Daniella Scotto per Cosmpolitan, solo nel Regno Unito, negli ultimi dieci anni, oltre 8.000 donne sarebbero morte a causa di malattie cardiache diagnosticate erroneamente o non correttamente trattate, proprio a causa di pregiudizi di genere. Una ricerca citata nell’articolo sostiene che le donne abbiano maggiori probabilità rispetto agli uomini di morire in situazioni che richiedono la rianimazione cardio-polmonare.
Sul versante opposto, le donne sembrano avere maggiori probabilità di ricevere farmaci anti-ansia rispetto agli uomini quando arrivano in ospedale con il dolore, a riprova del fatto che è come se i medici considerassero esclusivamente “psicologico” il malessere femminile.
Tesi confermata anche dalle giornaliste di Cosmopolitan, che citano una ricerca in cui si ritiene che le donne siano dotate di una “capacità naturale di sopportare il dolore”, che si presume sia il risultato del loro ruolo nella riproduzione, con le conseguenze inevitabili che tutto questo ha sul modo in cui vengono trattate dai medici. La ricerca ha infatti dimostrato che le donne hanno meno probabilità di ricevere un trattamento aggressivo per il dolore e più probabilità che il dolore venga segnalato dal proprio medico come “emotivo”, “psicogeno” e “non reale”.
Sulla stessa scia, è il motivo per cui è più probabile che agli uomini vengano somministrati antidolorifici, mentre alle donne sedativi o antidepressivi.
Il fatto che le donne siano prese meno sul serio dai medici può dipendere dal fatto che spesso queste si rivolgano loro più di frequente rispetto agli uomini? Almeno, questo vale per il quadro inglese, in cui uno studio ha rilevato che gli uomini si rivolgono ai dottori il 32% in meno rispetto alle donne; cosa che potrebbe spingere gli staff sanitari a considerare non sempre veritiero il dolore delle donne, naturalmente a torto.
Senza considerare, inoltre, che non si può tenere di conto una generica percentuale della frequenza con cui le persone si rivolgano ai medici per un problema, che naturalmente è un fattore molto soggettivo. E che talvolta le patologie di cui soffrono le donne hanno una natura ginecologica, per cui subentrano fattori come imbarazzo e vergogna.
Prima di tutto, pensiamo al trattamento di molte malattie ostetriche-ginecologiche, spesso considerate come frutto di quella che un tempo era considerata condizione predominante del sesso femminile, l’isteria. Per ricevere una diagnosi di endometriosi, ad esempio, occorrono in media 7,4 anni, secondo uno studio olandese.
Negli Stati Uniti le donne che si recano al pronto soccorso per dolori addominali possono aspettare anche 65 minuti prima di ricevere una terapia, gli uomini 49.
Idem per le malattie che comportano dolore durante i rapporti sessuali, come la vulvodinia, una patologia che provoca un intenso bruciore alla vulva: in uno degli articoli della BBC, c’è scritto che per risolvere il problema alle donne venga raccomandato di prendere tranquillanti o antidepressivi prima di fare sesso, oppure di bersi un bicchiere di vino. Come se ansia e sofferenza dipendessero esclusivamente da questioni psicologiche, mai fisiche.
E che dire della violenza ostetrica, ovvero di tutta quella serie di pratiche non necessarie e dolorose durante il parto in ospedale? Solo in Italia i dati stimano circa un milione di vittime. Per la precisione 1,6 milioni, come sottolineato dal rapporto di Doxa e OVOItalia, l’Osservatorio sulla violenza ostetrica Italia, sono le donne sottoposte a episiotomia, l’incisione vulvo-vaginale che in teoria dovrebbe facilitare il parto, senza aver dato il proprio consenso, mentre il 41% dichiara di aver subìto pratiche lesive della propria dignità e integrità psicofisica.
Non sono comunque solo le donne a rimanere inascoltate nei loro gridi di dolore dai medici; Harvey-Jenner e Scotto riportano i risultati di alcuni studi, secondo cui gay, lesbiche e bisessuali hanno molte più probabilità di soffrire di problemi di salute fisica e mentale rispetto ai loro coetanei eterosessuali, mentre per la comunità transgender la compresione dei problemi di salute da parte degli staff medici è praticamente un miraggio.
Anche fra le donne, comunque, occorre fare una distinzione, almeno sempre con riferimento al contesto britannico, dove, sostengono le due reporter di Cosmoplitan, le donne nere hanno cinque volte più probabilità delle donne bianche di morire di parto. Non è un caso se sia stata istituita, tra le altre, la Black Breastfeeding Week, la settimana dell’allattamento delle donne nere, che non è certo un capriccio voluto dalla comunità afroamericana per rimarcare una maggiore importanza del loro allattamento rispetto a quello bianco, ma un modo per gettare l’attenzione proprio sulle disparità ancora esistenti tra le donne nere e quelle bianche.
In realtà, anche il trattamento riservato dai medici risente spesso e volentieri delle differenze sociali, culturali ed economiche tra uomini e donne, pure se non dovrebbero. Insomma, la percezione del dolore viene considerata in modo diverso tra uomini e donne, e in modo tale trattata, solo in virtù dei soliti pregiudizi e cliché di stampo sessuale, di cui fatichiamo moltissimo a liberarci, anche in contesti e situazioni dove invece dovrebbe essere fatta valere esclusivamente la professionalità.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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