Chiariamo subito un punto fondamentale prima di raccontare questa storia. L’obesità è una malattia, alla pari dell’anoressia, e parlarne non significa celebrarla, ma dare il giusto risalto a un argomento che spesso e volentieri viene bollato come di puro interesse “estetico”.
I molti articoli su cui ci siamo spesi per affermare il diritto di ciascuno di noi ad amarsi anche se dal punto di vista estetico non corrisponde agli standard imposti dalla società non significa una volontà di schierarsi, da parte nostra, o di passare un messaggio che sia “diventate obesi”. Semplicemente, è un invito a considerare determinate aspettative come irreali, e a riflettere sul fatto che il bodyshaming sia sbagliato da parte di chi lo fa, non di chi lo riceve. Infatti, più volte abbiamo sottolineato come le offese rivolte alle persone plus-size siano gravi quanto frasi tipo “Le ossa diamole ai cani“, rivolte a quelle magre.
Fatta questa piccola parentesi, c’è anche da sottolineare che ridurre la condizione di obesità a una semplice indole capricciosa, al fatto di essere delle buone forchette e di mangiare eccessivamente e male, o di essere troppo pigri per praticare dell’attività fisica non solo non è corretto, ma potenzialmente anche pericoloso, dato che rischia di far passare il messaggio che l’obeso sia così solo perché mangia troppo e non fa nulla. Esistono centinaia di cause che concorrono all’obesità e, pur ricordando che uno stile di vita sano ed equilibrato sia fondamentale, ritenere gli stravizi alimentari o lo scarso moto come unici responsabili non è sufficiente.
Per questo, abbiamo deciso di raccontare la storia di Veronica Galoppini,  che oggi ha recuperato un peso ideale, ma ha un’esperienza davvero particolare alle spalle.
La mia storia con l’obesità inizia nel periodo a cavallo tra il 2000 e il 2001, ovvero durante la mia prima, e unica, gravidanza. Come è possibile? Semplice, sono nata con la Sindrome dell’ovaio policistico, chiamata Pcos, ma io non lo sapevo, fino a che è esplosa durante la gravidanza. Ecco il motivo per cui, a partire da quel momento, ho iniziato a capire come è la vita da obesa, e soprattutto come si può sopravvivere con 220 chili da portarsi sulle spalle“.
Quello, infatti, è il peso che raggiunge Veronica, che all’inizio non riesce a spiegarsi questo aumento di peso incontrollato.
Dal 2001 al 2006 ho girato tutto i centri che si occupano di obesità in Italia: Milano, Perugia, Siena, Piancavallo, sono solo alcuni dei centri dove ho tentato di capire cosa era successo al mio corpo. Tutti concordavano sul fatto che la mia fosse un’obesità ormonale, ma non si trovava il centro della malattia. Poi è arrivato Viterbo, la mia luce, la mia seconda vita, la svolta.
Finalmente riesco a dare un nome a questo inferno: sindrome dell’ovaio policistico. Era solo l’inizio. Questa malattia subdola non comporta solo l’obesità, in quegli anni ho sviluppato altri sintomi: perdita di capelli (che ho tuttora. Ho portato parrucche, poi me ne sono liberata, sto così, ho comunque vinto io questa battaglia), ipertensione, galattorrea – ovvero perdita di latte dal seno -, tanto che non ho allattato mio figlio, acne, acanthosis nigricans ovvero zone di pelle che diventavano scure, irsutismo, perdevo gli ormoni femminili e aumentavano i maschili, ho avuto l’amenorrea.
Un inferno. Adesso è sotto controllo, ma ho una terapia a vita da seguire. È esplosa perché questa sindrome porta infertilità, io invece per un miracolo sono rimasta incinta, e il mio organismo è andato in tilt”.
Veronica, dopo anni passati in un corpo in cui aveva difficoltà a riconoscersi, decide di ricorrere al bypass. Ma non è stata una scelta estetica, la sua.
Viterbo mi mette davanti subito una scelta: o muoio tra un anno visto la mia situazione, o tento con un bypass di perdere subito buona parte dei chili, mentre in concomitanza inizio la cura ormonale. Inutile pensarci, opto per la seconda. Pochi mesi e perdo subito 60 chili, piano piano inizio a risalire in superficie, ce la posso fare. Da lì in poi sarà tutta una discesa, diciamo”.
Nella sua inaspettata situazione, da persona che si è ritrovata a passare dall’essere normopeso al pesare 220 chili, Veronica per fortuna non presta attenzione agli atti di bullismo o derisione nei suoi confronti.
Ovviamente venivo guardata e derisa, ma grazie al mio carattere forte, autoironico e anche un po’ aggressivo, ho sempre superato il tutto con stile. Le critiche non mi feriscono, conosco la mia storia,  nessuno può giudicarla se non l’ha vissuta, piuttosto mi piace fermarmi a fare riflettere le persone su cosa sia l’obesità e cosa significhi viverla sulla pelle. È un po’ la mia missione, oggi.
Una sola frase mi ha ferita, e mi ferisce tuttora, quando mi dicono che è impossibile arrivare a 220 chili solo per un problema ormonale. Mi parte il nervo! Come se fossero tutti dottori. Invito chiunque ad andare a leggere cos’è la Pcos e poi possono parlare. Purtroppo per me, succede. Mi è successo e ho dovuto affrontarlo”.
Ad aiutare Veronica in questa battaglia un ruolo importante l’ha avuto anche la sua famiglia. Una cosa che lei tiene a sottolineare, visto il grande numero di persone che, invece, per anoressia, bulimia o obesità si rinchiudono in un isolamento terribile e deleterio.
Praticamente da quando ho partorito fino al 2006 che ho fatto il bypass, mia madre viveva 16 ore al giorno a casa mia. Io ero inferma nel letto, doveva pensare anche alla mia igiene personale, alla pulizia della mia casa, preparare il pranzo e la cena, mentre mio padre e mio fratello si suddividevano la gestione di mio figlio. Per 6 anni l’ho visto crescere tra le loro braccia, ho perso i suoi momenti migliori, stava un po’ con me sul letto, ma ero limitata nei movimenti, ho così sofferto e pianto fino a finire le lacrime, ma di nascosto. Fortuna che nella mia famiglia vige una regola: mai buttarsi giù, ridere e affrontare l’ostacolo con dignità, e così noi quattro abbiamo fatto. Devo tutto a loro, psicologicamente mi hanno tenuta viva“.
Perché la percezione sociale rispetto agli obesi è “siete così perché mangiate troppo”? Come fare per far comprendere a queste persone che non è così?
“Ci sarebbe un libro da scrivere. Purtroppo la gente confonde obeso uguale mangione. Non è così. Mi piacerebbe che le persone si informassero di più prima di parlare tanto per farlo. I professori stanno a scuola. La percezione è questa anche per colpa della TV, dei media, delle multinazionali alimentari, perché per primi sono loro a far passare questo messaggio. Oggi si vive di social o web, per questo affido a questo mezzi il mio messaggio. Quale? Semplice:
di obesità si muore, e spesso incidono anche  i pregiudizi”.
Come stai adesso?
Oggi sto benissimo. Gli ormoni sono sotto controllo, il peso è arrivato a 78 chili, ho solo il problema dei capelli perché ho un malassorbimento del ferro, ma sinceramente rispetto a ciò che ho vissuto, è nulla. Mi sento una libellula e questa sensazione me la godo ogni giorno che vivo.
Proprio per mettere la sua esperienza al servizio degli altri Veronica ha aperto un blog, in cui, oltre a raccontare la sua storia, cerca di invitare le persone a seguire uno stile di vita alimentare sano.
Una dieta sana non deve essere privazione e restrizione, piuttosto moderazione, ma mangiando con tutti nutrienti essenziali. Nessun beverone, compressa o prodotto miracoloso, solo cibo cucinato da noi e comprato nel proprio supermercato di fiducia. Ma indispensabile è anche la motivazione a non mollare, a credere che possiamo uscire da questo tunnel, ma possiamo farlo solo se lo vogliamo davvero. Infine, sul blog parlo anche di quanto sia importante il sostegno psicologico, fattore fondamentale durante un percorso dimagrante.
Questo è quello che offro nel mio blog, spero venga riconosciuto e apprezzato. Ho aiutato centinaia di persone in questi 14 anni, e sicuramente non mi fermo ora“.
Sfogliate la gallery per vedere quanto Veronica sia cambiata nel corso del tempo, non permettendo all’ovaio policistico di stravolgere la sua vita.
"Sono arrivata a pesare 220 kg e no: gli obesi non sono tutti pigri e mangioni"
Fonte: Veronica Galoppini
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