"La fibrosi cistica non mi troverà impreparata: la mia vita la scrivo io"

Abbiamo parlato con Daniela, che vive con la fibrosi cistica da tutta la vita. Le è stata diagnosticata che aveva appena due mesi, ma con la forza e la grinta di una vera combattente si è reinventata, e con noi ha parlato di quanta strada c'è ancora da fare per far conoscere davvero la malattia.

Daniela studiava architettura, viveva a Roma; oggi ha dovuto abbandonare il suo lavoro, si è trasferita nelle Marche, si dedica completamente a dei lavori di sartoria che sono il frutto di una mente che per metà mantiene la razionalità dell’architetto e per l’altro 50% esprime un gusto bon ton, vagamente retrò, ispirato dalle onde del mare, dai suoi suoni e dai colori delle farfalle.

No, la vita di Daniela, per quanto l’abbia costretta a dei cambiamenti, non le ha impedito nulla. Del resto, ha da tutta la vita una compagna di viaggio che, se non proprio desiderata, è comunque un bagaglio con cui lei ha lentamente imparato a convivere.

A Daniela è stata diagnosticata la fibrosi cistica che aveva appena due mesi; la patologia che, come si legge sul sito fibrosicistica.it, è dovuta a un gene alterato, chiamato gene CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator), determina la produzione di muco eccessivamente denso, che chiude i bronchi e porta a infezioni respiratorie ripetute, ostruisce il pancreas e impedisce agli enzimi pancreatici di raggiungere l’intestino, motivo per cui i cibi non sono digeriti e assimilati.

Fra i bambini nati nel nostro paese, prosegue il sito, si stima che ogni anno ci siano circa 200 casi nuovi, vale a dire 1 ogni 2500-3000. Daniela rientra nelle 6000 persone che in Italia sono affette dalla patologia; come detto, convive con la malattia da sempre, praticamente non ha idea di cosa sia la vita senza fibrosi cistica.

Il lavoro lo ha dovuto lasciare per l’aggravarsi della sua condizione, e oggi sta facendo gli esami preparatori per essere messa in lista d’attesa per il trapianto bipolmonare; tuttavia, imprevisti a parte, Daniela non si è mai fatta condizionare dal suo problema, né si è mai pianta addosso. L’abbiamo incontrata scoprendo la pagina dei suoi meravigliosi lavori su Instagram, La bottega blu, e le abbiamo chiesto di raccontarci cosa significhi vivere con la fibrosi cistica. La sua forza di volontà, il suo ottimismo ci hanno stupite, perciò è stato naturale chiederle, per prima cosa, se forse il suo atteggiamento non dipendesse dal fatto di non aver mai visto un’altra “opportunità”. Daniela non ha mai saputo cosa fosse la vita senza fibrosi cistica, quindi le domandiamo se questo abbia in qualche modo “aiutato” a vivere una vita quanto più possibile normale. Lei ovviamente ricorda poco del periodo della malattia nell’infanzia, ma ha ben chiara una cosa: l’amore di sua madre, che l’ha curata con dedizione e sacrificio ogni giorno.

Non ho ricordi nitidi, so che i ricoveri in ospedale per le riacutizzazioni respiratorie erano frequenti, le terapie antibiotiche ogni volta duravano quindici giorni, la notte tossivo per ore e che la mia mamma ha avuto la determinazione e la forza di un leone; ha imparato a mettere gli ago cannula (come se quello fosse il suo lavoro) così le terapie si facevano a casa, sveglia alle cinque del mattino, flebo, aerosol e si andava a scuola, seppur non era proprio una quotidianità di una bambina non mi sono mai lamentata, forse perché la malattia ti insegna fin da piccola a cavartela dando il massimo.

Forse ispirata dalla forza dei genitori, o forse semplicemente perché quella era la sua normalità, la sola che avesse mai conosciuto, Daniela non si è negata nulla della vita: ha fatto danza, nuoto, pallavolo, ha viaggiato. E, giura, non è mai stata discriminata per la sua malattia, anzi…

Cresci e ti ritrovi in età adolescenziale con una buona consapevolezza e gestione della malattia, i tuoi amici sanno della tua malattia e anzi sono loro che ti ricordano degli enzimi pancreatici prima di mangiare, le terapie antibiotiche le preparavo autonomamente, ricordo il mio primo viaggio all’estero: avevo sedici anni, quello fu davvero il primo traguardo, mio padre mi avrebbe voluto tenere in una campana di vetro perché quando si sente parlare di malattia, si pensa a giocare in difesa, mentre mia mamma diceva che l’indipendenza sarebbe stata una grande conquista per la libertà, e questo è stato fondamentale per la mia serenità; ho vissuto tutte queste piccole cose come dei grandi obiettivi, sfidando con ragionevolezza ogni mio limite, come quando ho deciso di voler suonare il flauto traverso. Sì, una malata polmonare di Fibrosi Cistica ha suonato per quindici anni uno strumento a fiato.

Con gli anni dell’università Daniela inizia a capire per la prima volta cosa significa rinunciare a qualcosa.

Iniziava la lezione e tu eri già sveglia da un paio d’ore, per cercare di anticipare le terapie giornaliere, le nottate al pc e la febbre agli esami e a te per recuperare la stanchezza non bastava una giornata di riposo, come a tutti gli altri, ma abbracciando quello che era il mio sogno e una valanga di forza di volontà si andava avanti. Poi il lavoro, ti trovi a fare delle scelte poco consone per la malattia che diventa più severa e dove la fisioterapia respiratoria necessita di ore durante l’arco della giornata e non di ripieghi serali.

Lì arriva la decisione, sofferta ma necessaria, di rinunciare a quel mondo, di tornare con il marito Stefano sulle colline marchigiane, a una vita più tranquilla, dettata da altri ritmi. Daniela lo ricorda come “un periodo difficile, perché rinunci a qualcosa che è la tua vita“.

Eppure, proprio in quel periodo, davanti al mare un giorno Daniela si domanda dove sia andata a finire la sua indomita personalità, quella che non le avrebbe mai permesso di smettere di lavorare e di darsi da fare.

Lì è nata La Bottega Blu, una piccola realtà, un’attività in proprio, dove poter gestire il tempo che sono a lavoro e quello da dedicare alla malattia, mi sono data da sola una possibilità lavorativa idonea alla Fibrosi Cistica, è stata anche questa una bella sfida e un po’ una rinascita.

Già, rinascita, una parola a cui Daniela è molto legata; in fondo, lei stessa l’ha sperimentata sulla propria pelle, reinventandosi a nuova vita quando molti altri sarebbero affogati in una spirale di disperata rassegnazione. Merito dei suoi genitori, dice, del marito, persone che le hanno dato la forza, l’hanno supportata, coccolata

… che come dei fari mi hanno indicato la rotta facendomi navigare secondo la mia mappa, e se volevo rientrare in porto li avrei trovati lì ad aspettarmi […] Grazie per tutta questa immensa libertà di vivere.

Ma Daniela sicuramente dovrà ringraziare anche un po’ se stessa, per quel carattere così tosto che non si fa abbattere da niente e riesce a riscoprirsi ogni volta. Del resto, lei stessa quando ci parla cita una frase di Cesare Pavese:

Non temiamo il destino. Non ci tireremo indietro. Prima di essere schiuma saremo indomabili onde.

C’è però un punto che le sta particolarmente a cuore e che la fa arrabbiare, per questo cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto alla malattia, spesso sottovalutata anche dai media, nonché – aspetto più importante – dal Sistema Sanitario Nazionale, che riconosce la malattia con l’invalidità al 100%, ma garantisce un sussidio e assistenza solo fino ai 18 anni di vita.

Tutto varia da regione a regione – spiega – usufruiamo della legge 104, fino al diciottesimo anno di età si riceve anche l’indennità di accompagnamento, ma la cosa abbastanza assurda è che dopo i diciotto anni quest’ultima viene tolta, si rimane con un assegno di invalidità di 284 euro, nonostante sia la malattia genetica grave più diffusa, una malattia degenerativa, dove l’aspettativa di vita è intorno ai 40 anni, dove c’è una perdita di funzionalità respiratoria molto importante, dove a seconda dei casi sei magari in ossigeno terapia, dove l’attività lavorativa è enormemente ridotta; forse qualcosa dovrebbe cambiare per la dignità del malato.

Lei stessa, aggiunge, fino a poco tempo fa non aveva diritto neppure a esibire il tesserino di invalidità sull’auto, nonostante debba ricorrere spesso all’ossigenoterapia. Non tutte le regioni garantiscono un’assistenza domiciliare adeguata, dice. “La malattia ti rende meno indipendente, non si può non avere un sostegno sanitario“.

La sua battaglia, quindi, è per un sistema uniforme di valutazione della malattia, che possa davvero rappresentare un sostegno importante, non solo a livello finanziario – che pure è un aspetto decisamente basilare – per tutti i malati nel nostro paese.
Nel frattempo, Daniela continua a lottare, a lavorare alle sue creazioni tra una scintografia e l’altra, in attesa del trapianto. Ma non chiamatela stacanovista.

No, non credo, anche quello è un modo per sentirsi liberi – dice, prima di giurare – A chi mi chiede se ho paura, la mia risposta è no, ci ho messo quasi 36 anni ad avere questa consapevolezza e fammelo dire ne vado anche un po’ fiera.

Sì, la fibrosi cistica è una malattia tosta, ma forse in Daniela ha trovato un avversario che lo è ancora di più.

Nella gallery abbiamo raccolto alcune delle immagini più belle dell’account Instagram di Daniela, e alcune delle sue frasi più significative.

"La fibrosi cistica non mi troverà impreparata: la mia vita la scrivo io"
daniela pieroni
Foto 1 di 8
Ingrandisci
  • Le interviste di RDD