Marco e la fibrosi cistica: "Se devo vivere poco, voglio vivere come dico io"

Cosa faremmo se sapessimo che il tempo che ci rimane è davvero contato? Ce lo ha mostrato Raffaele Inglese, che ha raccontato la storia di Marco, malato di fibrosi cistica, con il progetto fotografico Just Breathe. E ce lo ha raccontato lo stesso Marco, in una chiacchierata che parla di malattia e, soprattutto, di vita.

Su un biglietto stropicciato, aperto su una mano inquadrata dall’alto nell’immagine di copertina di Facebook di Marco Landucci, c’è scritto “Sei stato scelto per questa vita perché sei abbastanza forte per viverla”.

Marco sa che parla anche di lui e forse per quello l’ha messa lì.
Marco ha quasi 33 anni ed è malato di fibrosi cistica.

La vita media di un malato di fibrosi cistica oggi è di 40 anni.

Me lo dice come fosse niente in una chiacchierata che non ha i toni drammatici di una condanna, ma quelli di chi trova più interessante vivere la vita che perdere tempo ad autocommiserarsi per quello che la sorte gli ha riservato. Parlare gli fa venire il fiatone e, più parliamo, più capita che la tosse lo costringa a interrompersi, ma poi riprende, senza chiedere scusa, perché quella è la malattia con cui vive: non il frutto di un’influenza che ti gratta la gola, ma una condizione perenne per cui non c’è nulla di cui scusarsi.

L’incontro con Raffaele Inglese, allora studente alla Laba di Firenze e ora fotografo freelance, che ha realizzato gli scatti in calce a questo articolo e raccontato la sua storia, Marco in un post di metà gennaio lo ricorda così

… 3 anni fa un mio amico, conosciuto da poco, mi chiese se poteva farmi delle foto e raccontare una storia… la mia…
ecco il suo lavoro che poi diventò un esame all’università di fotografia… la sua passione… quando parlava di quello gli si illuminavano gli occhi… ecco qui il lavoro di Raffaele Inglese… grazie ancora…

Il “libro fotografico” con cui Raffaele ha raccontato Marco si chiama Just Breathe. Tra le foto ce n’è una in cui Marco ride con un sorriso aperto, di quelli che fanno le rughe sugli occhi e agli angoli della bocca, mentre mostra il suo dito medio all’obiettivo di Raffaele. È il suo vaffanculo alla malattia, che gli ha messo su quel dito il rilevatore di saturazione dell’ossigeno e lo costringe a fare i conti, prima del tempo, con la nostra caducità di esseri umani, ma non lo definisce.

È questa la foto con cui abbiamo scoperto, quasi per caso, il bellissimo lavoro di Raffaele e, di conseguenza, la vita di Marco. Ed è stato Raffaele, il primo a raccontarcela, con il testo di presentazione di Just Breathe prima, e mettendoci in contatto con lui poi:

Si ha un tempo a disposizione, è innegabile, la clessidra scorre, nessuno ci pensa, l’importante è non sapere mai quando l’ultimo granello di sabbia toccherà il fondo. E se sapessimo quanti granelli di sabbia abbiamo a disposizione? Come cambierebbe la nostra vita? Come pianificheremmo il nostro futuro? Quali i nostri comportamenti e soprattutto che visione del mondo avremo?

Marco, malato di fibrosi cistica, 29 anni, diagnosticata fin dalla nascita, ha sempre condotto una vita normale, certo per normale dobbiamo intendere la normalità che può affrontare un malato di fibrosi. Le sue giornate sono scandite metodicamente dal lavoro, dalla fisioterapia e dallo sport che è la parte ludica di quest’ultima. Pochi sintomi, scritti nel suo DNA, che gli tolgono il respiro, che non gli fanno assimilare quello che mangia, esigenze basilari per un corpo. I suoi polmoni si riempiono di “se stesso”, quel “se stesso” che potrebbe asfissiarlo. Lui stesso si definisce un guerriero della sabbia, lotta contra il tempo, pianifica il suo futuro, affronta la sua quotidianità in maniera spensierata e con il sorriso sulle labbra. La terapia sottrae tempo alla sue giornate, nel frattempo esercita una forza antigravitazionale nella clessidra un paradosso temporale.

Non pensa al suo sacco di sabbia “ridotto” al principio, che senso ha? Just Breathe è una frase che vorrebbe tatuare sulla sua pelle salata da un eccesso di cloro, “respiro appena”. Mi ha confidato questa sua volontà mentre stavo fumando una gustosa sigaretta dopo un caffè preso insieme. Attualmente non c’è una cura se non contenitiva, la trafila è per tutti la stessa, bombole d’ossigeno e il trapianto. Mi diceva che tutti i trapiantati sentono il respiro come mai l’hanno sentito nella loro vita, ma anche questo ha una durata, in media 7 anni. Tutto ha uno scadere, tutto ha una media temporale, nonostante tutto Marco come tanti affronta la sua vita con forza, coraggio, a tratti incoscienza mostrando anche un sottile orgoglio per la sua corazza dura che reagisce a tutti gli attacchi…

Chi non soffre di fibrosi cistica difficilmente conosce davvero cosa sia la fibrosi cistica, ma quello che Marco ci ha detto quasi subito ci colpisce nella nostra ignoranza:

La fibrosi cistica è una malattia genetica. I miei genitori sono entrambi portatori sani, del resto 1 persona su 4 è portatrice sana di fibrosi cistica e non lo sa.

Non ci fa un trattato medico, si limita a provare a darci una descrizione “divulgativa” e senza orpelli della sua malattia:

A noi malati di fibrosi cistica non funzionando le ghiandole sudorifere – racconta –, per questo perdiamo molti sali e, per esempio, d’estate se mi lecco la mia pelle è molto salata (e a questo che fa riferimento Raffaele nella sua presentazione).
C’è un eccesso di cloro nei nostri polmoni che, non riuscendo a scambiare questa proteina, sono costantemente in umidità e diventano un cumulo di batteri: ogni tre mesi ho una polmonite e i polmoni si deteriorano.
È una malattia che prende prima l’apparato respiratorio e poi quello digerente e per vivere devi assumere degli enzimi, che sopperiscano alla mancata funzionalità del pancreas e che sono estratti dal pancreas di maiale.

In una foto Marco corre, nell’altra gioca a calcio, mi racconta di questo, tossisce e il respiro si affatica con poche parole: gli domando come sia possibile.

Io grazie allo sport sono ritornato ad avere un livello di vita accettabile. Faccio corsa, bici, calcio, attività che durano nel tempo. Mentre gli altri le scale le fuggono, io le vado a cercare.
E a chi mi dice: “Non le fare, se no ti viene la tosse”. Io rispondo che me la deve fare venire.

E poi ci racconta di un’altra vita e di un altro Marco, quello che fino ai 26 anni ha rifiutato malattia e cure e si stava lasciando morire:

Fino ai 26 anni non mi sono curato. Era il mio modo di rifiutare la malattia, ero incazzato, saltavo le pastiglie (sono almeno 20 al giorno) e la mia funzione respiratoria era davvero compromessa.
Ero davvero vicino alla “candidatura” alla lista per il trapianto bipolmonare.
Poi finalmente ho svoltato: ho iniziato a curarmi regolarmente e a fare sport. 
All’inizio pensi che morirai: quando arrivi a respirare il 27% di una persona normale giuro che ti sembra di morire e devi superare i tuoi limiti fisici, ma anche mentali.

Ma a quel punto avevo deciso che se proprio dovevo morire, almeno lo avrei fatto cercando di recuperare.

Marco ti fa sentire a tuo agio, il torto maggiore che puoi fargli è trattarlo come una persona che si può rompere da un momento all’altro e, così, alla fine, riesci a fargli quella domanda: come si vive sapendo che la tua “data di scadenza” è in teoria molto più vicina di quella dei tuoi coetanei?

Si vive di fretta – risponde-. A un certo punto cerchi di andare più veloce.

Ho sempre la sensazione che mi manchi il tempo e ho costantemente la sensazione di non riuscire a fare tutto: è un pensiero che ti mangia e ti logora.

Ma anche della sua clessidra con i granelli di sabbia contati Marco ha fatto quasi un punto di forza, mandando all’aria certezze e comodità per rischiare la felicità:

Io sono originario di Rosignano, in provincia di Livorno. Dieci anni fa mi sono trasferito a Firenze per lavoro. Lavoravo in ufficio come categoria protetta, 4 ore al giorno e con invalidità.
Due anni fa mi sono licenziato perché ero infelice e ho aperto un locale.

Coglie il mio silenzio stupito:

Sono andato contro il parere di tutti. Avevo tutte le tutele e le sicurezze che un malato può volere, ma ero infelice.

Se devo vivere poco voglio vivere come voglio io.

Così sono tornato al mio paese è ho aperto un bar enoteca, con un amico: lui ha 21 anni, me lo sono scelto giovane così i lavori di fatica li faccio fare a lui.

Marco ride, tossisce e ride ancora:

Pensa che potere ha la mente: sono passato da 4 ore a sedere a 12/13 ore in piedi e, sì, sono più stanco, ma sono 2 anni che sto meglio, sono stabile, ho valori accettabili. Anche i medici sono stupiti.

Ogni tanto è come se mi fossi scordato di essere malato e se il cervello se lo dimentica il corpo sta meglio.

Il bar, per la cronaca, si chiama Da quei ragazzi, e questa è la loro pagina Facebook.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Alla fine riesci a fargli anche questa domanda, perché è senza retorica che capisci che in Marco c’è più vita e progettualità della maggior parte delle persone sane che conosci, a partire da te stessa.

Parla di una ragazza con cui è fidanzato da pochi mesi:

Chiaro che quando stai con una persona i progetti li fai in due.

Per la prima volta, il sorriso di Marco cede alla preoccupazione:

Il fatto è che ho sempre pensato di dover stare da solo per non incasinare altre persone: le medicine ti cambiano, ci sono volte in cui sei schizzato, nervoso. A volte ho le allucinazioni o ci sono notti in cui tossici, vomiti, sputi sangue per 5-6 ore e poi lei, che ti ha assistito per tutto il tempo, si alza per andare al lavoro.

Il senso di colpa non te lo togli mai. Anche se lei ha scelto consapevolmente e il tuo senso di colpa non la ferma.

È a questo punto che Marco mi dice:

Scrivi anche, perché sia chiaro a tutti, che non è che io sono Superman: quello per arrivare fino a qui è stato un percorso lungo e difficile, dove a tratti ho perso. Fino a quando non ho deciso di affrontare la mia malattia avevo perso e mi sono mangiato anni di vita, ma ora no, ora me la voglio prendere e vivere.

Marco e la fibrosi cistica: "Se devo vivere poco, voglio vivere come dico io"
ph. Raffaele Inglese - progetto Just Breathe
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