Il dolore invisibile nelle foto di Claudia: "Ho dovuto rinunciare presto a una vita normale"

Il dolore invisibile nelle foto di Claudia: "Ho dovuto rinunciare presto a una vita normale"
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La prima volta che ho incontrato Claudia Amatruda e mi ha raccontato la sua storia mi è parso impossibile che una ragazza così bella, così luminosa e positiva potesse convivere con qualcosa di così difficile a soli 24 anni. Mi sono scoperta (non senza un po’ di superficialità forse) incapace di immaginarla quotidianamente alle prese con terapie, ricoveri, medicine, fisioterapia, ospedali. Ho pensato: io al suo posto non avrei reagito così.

Ed è una frase che lei si sente ripetere spesso. Ma chissà, forse messi di fronte a certi ostacoli scopriremmo di avere delle forze che non sappiamo di avere. Non so se lei ce l’abbia di natura questa determinazione o se ciò che la vita le ha messo davanti abbia tirato fuori un carattere che altrimenti sarebbe rimasto più sopito.

Fatto sta che la sua malattia rara dal nome lungo e complicato, che inevitabilmente la limita e la fa soffrire, non si è frapposta tra lei e il mondo, tra lei e la vita.

Ho dovuto imparare presto cosa significasse la rinuncia a una vita da normale 24enne. So che se un giorno voglio fare qualcosa che richiede molto sforzo, i giorni successivi sono di dolori violenti e quindi riposo assoluto. Nonostante questo, ho deciso che nel momento in cui esco da casa, nessuno deve capire che una camminata mi fa soffrire. E non devo pesare sulle decisioni di un gruppo di amici”.

In qualche modo comportarsi come una ragazza sana e attiva la aiuta mentalmente nella visione delle cose.

Claudia Amatruda e la sua malattia rara

Neuropatia delle Piccole Fibre, Disautonomia e una ancora incerta connettivopatia ereditaria (Sindrome di Ehlers Danlos tipo 3): una diagnosi lunga e complicata, ma soprattutto, che è stata difficile da raggiungere.

Non avere un nome, una diagnosi certa e definitiva, rende le cose più difficili, perché non sai chi è il nemico contro cui combatti. Non sai perché le tue gambe cedano, perché avverti atroci dolori alla schiena e infiammazioni alle articolazioni, perché i tuoi organi interni subiscano danneggiamenti. Gli stessi medici non possono che fare ipotesi e non si sbilanciano sul decorso futuro, perché essendo una malattia rara ha poca casistica su cui fare affidamento.

E l’incertezza è camminare nel buio, senza sapere a cosa si va incontro. “Ho molta paura della sedia a rotelle e del dolore talmente forte da limitarmi in qualsiasi cosa io voglia fare”, spiega Claudia.

E lei, di cose da fare, ne ha tante. Perché è vero che avverte dolori violenti e che deve centellinare le energie, perché a ogni sforzo corrispondono lunghe sessioni di riposo e recupero forze. Ma è determinata e alle sue passioni non ha alcuna intenzione di rinunciare. In primis la fotografia, che per sua stessa ammissione le sta salvando la vita.

“La fotografia ha un ruolo importante per me: mi fa guardare guardare ogni cosa da più prospettive, mi costringe a uscire di casa anche quando non ce la faccio fisicamente e mi distrae dalle situazioni più buie”.

Naiade: Claudia Amatruda tra acqua e fotografia

Tre anni di lavoro si sono concretizzati in qualcosa che Claudia ha finalmente potuto stringere tra le mani. Lei e non solo. Infatti Naiade, il libro fotografico a cui si è dedicata in tutti questi mesi, è arrivato anche nelle mani dei tanti che ne hanno finanziato la realizzazione attraverso una campagna di crowdfunding.

Tutto è cominciato con una serie di autoscatti in piscina, poi il progetto si è evoluto per due anni durante un Master in Progetto Fotografico. In Naiade Claudia racconta, attraversando tre ambienti (piscina, casa e ospedale) la sua storia, la sua convivenza con la malattia, la fase di accettazione. Un modo per per far comprendere che esistono tante sofferenze invisibili, ma che reagire e combatterle è possibile.

“Questo progetto è servito prima di tutto a me come terapia, mi ha fatto capire il lato giusto da cui guardare una situazione che proprio non mi piaceva“, spiega.

Il nome del libro deriva dalle Naiadi, divinità dell’acqua nella mitologia greca. E come la fotografia, l’acqua è una componente importante della vita di Claudia. “L’acqua per me è un ritorno alla vita. Nell’acqua mi sento me stessa, normale, leggera in tutti i sensi. Paradossalmente è in apnea che respiro di più, è un rapporto viscerale, è come respirare”, spiega.

Questione di prospettiva

La prima volta che ho incontrato Claudia Amatruda con lei c’era anche la sua famiglia. Suo padre le raccomandava di andarci piano col trucco, i suoi fratelli la guardavano letteralmente con occhi innamorati. Pensando a loro, Claudia li definisce “le luci che mi aiuteranno a uscire dai momenti di buio”. E con loro, anche gli amici, anche l’amore: tutte cose che, pensando al futuro, vede nella sua vita.

Luce e buio: un po’ come nella fotografia. Lì i chiaroscuri si possono bilanciare e tutto sommato, anche nella vita, con più o meno difficoltà. Tutta questione di prospettiva. E la storia di Claudia ci insegna proprio questo.