La vita con una borsa ostomica, che raccoglie feci e urine
Cosa significa davvero vivere con una borsa ostomica? Abbiamo raccolto alcune testimonianze davvero toccanti che aiutano a superare i tabù.
Cosa significa davvero vivere con una borsa ostomica? Abbiamo raccolto alcune testimonianze davvero toccanti che aiutano a superare i tabù.
è il risultato di un intervento con il quale si crea un’apertura sulla parete addominale per poter mettere in comunicazione un viscere (apparato intestinale o urinario) con l’esterno. I tipi di stomie prendono il nome dal viscere che le costituisce: quelle intestinali (enterostomie) si dividono in ileostomie o colostomie, quelle urinarie (urostomie) si dividono in pielostomie, ureterostomie, cistostomie. Il confezionamento di una stomie è sempre secondario ad un intervento altamente demolitivo che compromette, da un lato, le funzioni fisiologiche, ma permette, dall’altro, l’allontanamento immediato ed efficace dei gravi problemi che compromettono la salute del paziente, spesso permettendone la sopravvivenza.
Il FAIS, nel definire la stomia, parla anche dell’aspetto prettamente “sociale” che molto spesso interessa i portatori, e di quanto talvolta l’accettazione della propria condizione sia complessa, e frutto di un tortuoso lavoro su se stessi:
Solo con la consapevolezza di ciò potranno essere abbandonate quelle sensazioni di vulnerabilità, di sconforto, di malessere che ingenerano la convinzione di essere portatore di un grave handicap. È importante conoscere cos’è una stomia e perché è stata confezionata, perché solo così potrà essere accettata come una nuova condizione anatomica a cui adattarsi, potrà apparire come una condizione nuova che comunque permette una normale vita di relazione e attraverso la quale è stato possibile riacquistare lo stato di persona sana. Il portatore di stomia non è un malato cronico, questo è l’assioma che deve accompagnare ogni portatore di stomia. La stomia è priva di uno sfintere, cioè di un muscolo ad anello che ne permette la chiusura, e quindi gli effluenti (feci o urine) non possono essere trattenuti e fuoriescono liberamente. Questo è un grave inconveniente che, però, può essere affrontato e risolto in modo soddisfacente mediante la cura della stomia. Avere una stomia significa, quindi, avere una situazione anatomica diversa, ma gestibile, che non pregiudica la vita di relazione del portatore e che non ne fa un handicappato bensì, dopo una malattia, ne permette il ritorno alla vita.
Per i portatori di stomia viene in auto proprio la borsa ostomica.
Parliamo di un vero e proprio sacchetto esterno che serve per raccogliere feci e urine qualora il corpo, per diversi motivi, non riuscisse a eliminarle correttamente. Fra le ragioni per cui potrebbe rendersi necessaria una borsa ostomica ci sono anche tumori, interventi chirurgici o malattie infiammatorie croniche.
La borsa ostomica ha sia lo scopo di proteggere l’apertura di uscita dell’organo interessato, ovvero la stomia, raccogliendo feci e urine per poi eliminarle. Viene fissata alla parete addominale usando sistemi adesivi, e ciascuno può scegliere il modello che preferisce, per forma e colore, così da adattarlo al meglio al proprio stile di vita.
La stomia può essere temporanea o definitiva; ovviamente, la persona stomizzata, giorno dopo giorno, deve imparare a curare autonomamente la propria stomia, capendo qual è il sistema di raccolta e quali gli adesivi più adatti alla propria situazione ma, una volta riusciti nel compito, si può proseguire con una vita del tutto normale, andando al lavoro, coltivando i propri hobby, seguendo gli sport preferiti o viaggiando come si è sempre fatto.
Come detto, non sempre è facile accettare il fatto di dover “indossare” una borsa ostomica in presenza di una stomia; i pregiudizi della gente sono spesso molto forti, come ad esempio abbiamo raccontato in questa storia, che ha avuto per protagonista un bambino stomizzato.
Per fortuna, sempre più progetti artistici coinvolgono persone stomizzate, che accettano di mostrare la propria condizione per sfatare un tabù tuttora molto persistente. La fotografa Chiara De Marchi ha, ad esempio, realizzato una serie di fotografie dal titolo Invisibile Body Disabilities, proprio perché talvolta questo genere di “disabilità” non è neppure visibile, in cui alcune protagoniste raccontano le proprie storie.
C’è chi, come la modella americana Jearlean Taylor, è diventata una modella esibendo anche la borsa ostomica che porta dall’età di tre anni, quando le è stato diagnosticato un raro cancro vaginale, il rabdomiosarcoma, che ha messo persino a repentaglio la sua vita. Consapevole che la vita le abbia concesso un’altra opportunità, oggi Jearlean è la portavoce delle persone stomizzate nel mondo, e la testimonianza più vivida che non solo l’accettazione sia possibile, ma anche doverosa, per sé e per gli altri.
In gallery abbiamo raccontato la sua e altre storie bellissime.
Dopo la diagnosi di tumore ad appena 3 anni, ha iniziato a portare le due sacche ostomiche per vescica e intestino.
Trovavo difficile, imbarazzante e doloroso essere considerata ‘diversa’ – ha raccontato a CBS News – A scuola venivo presa in giro, anche se non potevo incolpare i bambini per qualcosa che non capivano. Alle medie la mia borsa è esplosa sull’autobus, lasciando un odore terribile. Quel giorno, avrei voluto strapparmi quelle sacche di dosso.
Jearlean è stata scoperta da un agente in un centro commerciale, e oggi è diventata una modella.
Dicevo spesso: ‘Perché io? Perché il cancro? Perché le borse?’. Adesso ringrazio Dio ogni giorno e dico: ‘Perché non io?’. Non bisogna lasciarsi definire dalle circostanze.
E questo è il nostro secondo anno che iniziamo insieme, e con oggi sono 1 anno e 5 mesi che vivi con me.
Quest’anno come tutti quelli che verranno saranno dedicati a te, a noi.
Tu si che sarai per sempre, buon 2019 amica di questa vita.
Non permettere ai problemi di ostacolare i tuoi sogni, i tuoi progetti, i tuoi obiettivi. Non concepire la malattia come una catastrofe ma come una potenzialità. Non permettere a nessuno di farti sentire un peso. Non perdere mai il sorriso, il coraggio, la forza di lottare.
La malattia mi ha insegnato la cosa più importante di tutte: a sorridere quando stai male, quando dentro vorresti morire.
Questo campo di battaglia mi ha colto impreparata. Molto più impreparata di quanto io credessi. Ho sempre lavorato su di me, per indole, per professione, per passione. Sono una psicoterapeuta, sono una cercatrice; non mi sono mai fermata alle piazze che incontravo. Ho sempre avuto il bisogno di andare oltre, come un viandante. Il cammino è la mia meta, non la piazza.
Ma qui il cammino si è fatto confuso, agitato, il passo incerto, debole, troppo debole. Ho perso gli orizzonti, questo nuovo campo di battaglia mi ha fatto saltare intimamente per aria. Io, che lavoro e vivo a fior di anima, mi sono persa. (…) Gennaio 2018, calma apparente. Ennesimo ricovero.In 31 giorni questa volta le cure non funzionano; l’alimentazione parenterale dritta in una vena centrale perché le braccia non la reggevano più, il cortisone, le trasfusioni, la febbre che non scende mai sotto i 39°, il cuore che in qualche giorno perde la sua forza. Funzionalità al 40%, medici spiazzati, disorientati. Io non sono più tanto presente, intorpidita dalla febbre e dalla sepsi che mi chiamavano altrove.
Un pomeriggio allungo il braccio sinistro verso l’alto, chiedendo a Qualcuno di tirarmi fuori da quella nebbia. E lì il cuore cede. Non più sentito nulla. Ho smesso di lottare. Due giorni dopo riapro gli occhi, la mente confusa, il corpo immobile, l’anima stranita. Colectomia totale e ileostomia con intervento parziale, concluderlo non si poteva perché il mio cuore non avrebbe sopportato oltre gli 89 centimetri di colon che mi hanno strappato via. Ora sono qui, difendendo da questo mio viaggio di ritorno i miei figli, mio marito, le mie persone. Mi ritrovo qui, grata alla vita per avermi allungato la sua mano quando gliel’ho chiesta, seppur lo scotto che ho pagato sia tremendo. (…)
Non è finito il mio viaggio, non qui e non così. Ho ancora tanta strada da percorrere e non so quale sia la direzione nemmeno del prossimo passo. Ma con dedizione, lo farò. Compagna Dedizione; cammino con lei, con quell’atteggiamento interiore di lenta, laboriosa, costante, faticosa apertura verso la Vita e la sua enorme saggezza. Tanto grande da non riuscire, ora, a coglierla nel suo insieme.
Dopo così tanta attesa e paura, mi sto abituando alla mia nuova vita. Ora dopo aver passato così tante cose, in molti momenti mi sembra di crollare. Ma voglio e vorrò sempre far uscire il mio lato di forza. Quando stavo male avevo imparato a godermi i momenti che stavo bene.
Desidero continuare a godermi le piccole gioie della vita. Dopo aver passato una colectomia totale d’urgenza e come secondo intervento la costruzione del j-pouch, ora sono in attesa del terzo, della ricanalizzazione. È strano si impara a passare paure dopo paure, ora persino la paura di togliere il sacchetto. La mia rinascita.
Il 3 giugno scorso ho fatto il primo intervento: colectomia subtotale con ilostomia temporanea, è andato tutto bene, ma è stato molto difficile da affrontare.
Spesso penso alle giovani e giovanissime donne che ogni anno scoprono di soffrire di malattie infiammatorie croniche intestinali e vorrei che non si sentissero sole, vorrei che avessero la forza d’animo che serve, vorrei che vivessero serene nonostante la malattia, vorrei che non incontrassero difficoltà e pregiudizi sul lavoro, vorrei che non perdessero la speranza, vorrei abbracciarle tutte una ad una.
Quelle endoscopie sconsiderate mi procurarono una sorta di setticemia all’addome che fu necessario trattare in emergenza pur di salvarmi la vita. In quell’occasione mio marito, che da sempre mi assiste e sta vicino, testimone oculare degli scellerati errori e trattamenti che fin allora avevo subito, mi portò in un altro ospedale dove furono costretti ad asportarmi anche tube ed ovaie, dal momento che l’infezione era particolarmente estesa.
E così a neanche 40 anni mi ritrovai mio malgrado in menopausa.
Ero viva ma non era finita.
La storia completa di Cristina è sul sito di Invisibile Body Disabilities.
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