«Tutelare la biodiversità» sembrano ormai le sole parole d’ordine che valgano perché il pianeta Terra abbia un futuro. Sappiamo paradossalmente tanto del mondo in cui gli esseri umani stiano trasformando il pianeta mettendo a rischio estinzione milioni di specie tra piante e animali.

Come riporta il New York Times, l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha realizzato un documento: si tratta di un report di 1500 pagine compilate da centinaia di esperti internazionali a partire da migliaia di studi scientifici. Nello studio si parla del declino della biodiversità e dei rischi legati alla civilizzazione messa in atto dagli esseri umani.

In particolare nell’ultimo secolo, il progresso di civilizzazione ha portato alla riduzione del 20% delle specie tra piante e animali, poiché le coltivazioni, il disboscamento, la caccia di frodo, la pesca e lo sfruttamento delle risorse minerarie rappresentano un’alterazione della natura che non ha nessun precedente nella storia dell’uomo.

Questo ha portato, tra le dirette conseguenze, al riscaldamento globale, che in aggiunta sta costringendo flora e fauna a evolversi o soccombere. Tra gli animali cui sta accadendo questo c’è la tigre del Bengala che è molto vicina all’estinzione. La perdita della biodiversità è una realtà e precipiterà nel 2050, in particolare nella zona dei Tropici.

Per molto tempo – ha spiegato Robert Watson, presidente dell’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services – la gente ha visto la biodiversità come salvezza della natura in sé. Ma questo report rende chiari i collegamenti tra biodiversità e natura e cose come la sicurezza del cibo e dell’acqua pulita sia nei Paesi ricchi che in quelli poveri.

Biodiversità, una risorsa fondamentale

Biodiversità
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Nelle Americhe la natura fornisce 24 trilioni di benefici non monetizzabili ogni anno. Per capire meglio: le foreste amazzoniche assorbono un’immensa quantità di anidride carbonica, le barriere coralline rappresentano una grande attrazione turistica ai Caraibi, le piante tropicali costituiscono la base di molte medicine. In altre parole, se queste e altre risorse naturali diminuiscono, cala anche proporzionalmente la qualità della vita dell’essere umano in una perversa reazione a catena.

L’essere umano sta producendo più cibo che mai – anche per sfamare, con grandi differenziazioni purtroppo nei diversi Paesi e tra le diverse classi sociali – 7 miliardi di individui. Questo porta a una degradazione del terreno, che rischia di far calare la produttività dell’agricoltura del 23%. Inoltre, la scomparsa delle api e degli insetti impollinatori porta a un calo annuale dei raccolti – con una perdita di 577 miliardi.

A questo si aggiunge come la sparizione delle foreste di mangrovie e e dei coralli esponga 300 milioni di persone al rischio di inondazioni. E qui il gatto si morde la coda: da un lato le risorse diventano insufficienti per i sopravvissuti, dall’altro è stato l’uomo che con le sue azioni ha portato a questi cambiamenti e ai conseguenti rischi per il pianeta.

Non è mai abbastanza concentrarsi sulle politiche ambientali – spiega la principale autrice dello studio Sandra M. Diaz, ecologa alla National University di Cordoba in Argentina – Abbiamo bisogno di trasformare la biodiversità nel commercio e nelle decisioni infrastrutturali, allo stesso modo in cui la salute o i diritti umani si trasformano in ogni aspetto delle decisioni sociali ed economiche.

Biodiversità, qual è la situazione?

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Gli scienziati hanno catalogato 1,3 milioni di creature viventi, ma si stima che ce ne siano 8 milioni, gran parte delle quali sono insetti. Dal 1500 a oggi sono estinte almeno 680 specie – come la tartaruga gigante Pinta delle Galapagos o la volpe volante di Guam. Il report afferma che

le azione umane stanno conducendo molte specie all’estinzione globale come mai avevano fatto prima.

Nonostante gli sforzi degli ambientalisti, le specie anfibie sono diminuite del 40%, mentre abbiamo perso un terzo dei mammiferi marini e un terzo dei coralli. Inoltre 500mila delle specie che vivono sulla terraferma non godono di un habitat naturale per vivere a lungo e bene.

In Indonesia, dove le palme hanno sostituito la foresta pluviale, sono a rischio le esistenze di oranghi e tigri di Sumatra. In Mozambico i cacciatori di frodo hanno ucciso almeno 7mila elefanti tra il 2009 e il 2011. In Argentina e Cile, l’introduzione dell’orso nordamericano negli anni ’40 ha portato alla devastazione di specie arboree e di quelle animali a esse legate, come il picchio di Magellano.

Tre quarti delle terre emerse sono state alterate dall’uomo e l’85% delle paludi è scomparso alla boa del XVIII secolo. A completare il quadro contribuiscono la combustione del carbon fossile e il riscaldamento globale: basti pensare che si stima come il 5% delle specie scomparirà a seguito dell’innalzamento delle temperature che si ritiene sarà di 2°C. Dei 6190 mammiferi addomesticati che vengono usati in agricoltura, oltre 559 sono estinti mentre un migliaio è a rischio. Ciò che ora si trova sulla Terra in termini di vegetali, animali e minerali non è rimpiazzabile.

E allora, siamo destinati a soccombere anche noi per un problema che noi stessi abbiamo provocato? La speranza nel futuro è sottile ma c’è e consiste nell’insegnamento che possiamo trarre dalle risorse naturali che sono resilienti e cercano di opporsi ai loro nemici biologici.

Tra le soluzioni, ci sono la necessità di adottare nuove tecniche in agricoltura per ottenere migliori raccolti con minore consumo di suolo, sprecare meno cibo, rafforzare le leggi ambientali combattendo le illegalità rappresentate da caccia e pesca di frodo, diminuire le emissioni dovute ai carburanti fossili. Ognuno di noi può essere parte del cambiamento positivo, ma bisogna iniziare subito.

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