A qualcuno di noi sarà capitato di passare per strada proprio poco dopo che è avvenuto un incidente, o nel bel mezzo di una rissa, e di fermarci a guardare, almeno per qualche secondo, senza però intervenire. Non si tratta di semplice curiosità, questo genere di comportamento è un vero e proprio fenomeno psicologico che prende il nome di effetto bystander, o effetto spettatore.

Cos’è l’effetto bystander?

Con questa definizione si intende quindi l’atteggiamento di un gruppo di persone che sono testimoni di una situazione di emergenza ma, piuttosto che intervenire, non fanno nulla per aiutare o fermare la situazione potenzialmente pericolosa. Non è una questione di coraggio o di paura, ma una meccanismo psicologico naturale ed evidentemente diffuso, se si pensa che, secondo il Dipartimento di Giustizia americano, nel 70% dei casi di aggressione, e nel 52% di quelli di rapina, le persone sono presenti, mentre la percentuale di quelle che aiuta la vittima è molto variabile e dipende da vari fattori.

L’effetto bystander non si ha però solo in situazioni “fisiche”, ma si intende applicabile, in generale, a ogni situazione in cui una persona stia subendo abusi o aggressioni, comprendendo quindi anche il cyberbullismo, ad esempio, e anche in questioni sociali, come quando assistiamo a danni a cose o ambiente senza intervenire.

Le cause psicologiche dell’effetto bystander

Ci sono dunque molte cause che spiegano l’esistenza dell’effetto bystander. Una delle più elementari ma diffuse: se i testimoni di un incidente sono molti, le persone penseranno che saranno gli altri a intervenire; paradossalmente, più testimoni sono presenti, meno sono le probabilità che qualcuno agisca.

In un noto studio, condotto dagli psicologi Bibb Latané e John Darley che per primi si occuparono dell’effetto bystander basandosi su un caso di cronaca (che affronteremo in seguito), è stato rilevato che nel 75% dei casi le persone aiutavano chi era in difficoltà, se si trovavano da sole, mentre se in gruppo le percentuali scendevano vistosamente. La conclusione è che essere parte di un gruppo ci fa percepire meno la nostra responsabilità personale, dandoci l’impressione di poterci tutelare dietro “l’anonimato” e di non sentire il peso dell’inazione, cosa che invece, a livello individuale, avremmo.

Generalmente i motivi per cui non si interviene in aiuto di una vittima sono:

  • il timore di un danno personale superiore al beneficio del proprio intervento;
  • la sensazione di non avere le caratteristiche necessarie per aiutare;
  • la supposizione che gli altri siano “migliori” e più adatti ad aiutare;
  • l’osservazione delle reazioni degli altri presenti che ci porta a pensare che la situazione non sia poi così grave;
  • la paura di diventare il bersaglio dell’aggressione.

Questi motivi vengono annullati nel caso in cui si conosca la vittima, ad esempio, oppure se si è in possesso degli strumenti di difesa personale adatti, se si ha una formazione medica, o anche in base alla percezione che abbiamo della vittima, se riteniamo cioè che essa sia “meritevole” di aiuto.

Conseguenze dell’effetto bystander

Nei loro studi del 1968 Latané e Darley coinvolsero un campione di studenti universitari, che sapevano di dover compilare un questionario, in cui potevano essere soli o in compagnia. Durante l’esercizio veniva fatto entrare del fumo da un’apertura, con questi esiti: gli studenti che compilavano il questionario da soli si accorgevano del fumo in 30 secondi, mentre, fra quelli che eseguivano il compito in compagnia, solo il 26% aveva la stessa risposta negli stessi tempi.

Dopo sei minuti tutti vennero spostati in un’altra stanza e, quando venne loro chiesto se avessero notato del fumo, tutti risposero affermativamente, anche chi aveva dato segno di non averlo notato. Da qui si evince che gli spettatori sono influenzati da cinque caratteristiche o convinzioni:

  • la presenza di un danno durante l’emergenza;
  • le emergenze sono rare;
  • il tipo di azione cambia in base alla situazione;
  • le emergenze sono impreviste;
  • le emergenze richiedono un’azione immediata.

In generale, più informazioni si hanno e più siamo portati a intervenire, visto che sul nostro comportamento influiscono l’influenza sociale, da un lato, e l’ambiguità dall’altro: dobbiamo, in sostanza, essere sicuri che la persona abbia davvero bisogno del nostro aiuto.

Ma le conseguenze del nostro comportamento “di gruppo” potrebbero essere, in alcuni casi, davvero terribili, perché potremmo permettere, in questo modo, comportamenti sconsiderati, abusi, se non veri e propri crimini, come quello, atroce e famoso, da cui sono partiti gli studi sull’effetto bystander.

Effetto bystander: esempi e casi famosi

L’effetto spettatore si evidenzia in qualunque situazione si stia compiendo un comportamento socialmente considerato sbagliato e si decida di non intervenire; possiamo dar vita all’effetto spettatore mentre osserviamo qualcuno gettare la carta per terra anziché nel cestino così come se osserviamo un uomo maltrattare una donna e non facciamo nulla per fermarlo.

Molti esperimenti sociali, che si trovano facilmente in rete, sono dedicati proprio all’effetto bystander, ad esempio quelli dedicati a registrare le reazioni della gente di fronte a una persona che tenta di suicidarsi, a persone nere che vengono allontanate dalla spiaggia o a persone omosessuali cacciate da un bar.

Il caso più famoso, che come detto ha dato il la per gli studi sull’effetto spettatore, è però un caso atroce di cronaca nera, quello riguardante l’assassinio di Kitty Genovese.

Nella notte del 13 marzo del 1964, intorno alle tre di notte, la ventinovenne Catherine Susan Genovese viene brutalmente pugnalata e uccisa in un vicolo di New York. Aveva parcheggiato la sua auto e si stava dirigendo verso il suo appartamento nel Queens, New York, dopo aver terminato il suo turno come addetta del bar, quando il serial killer Winston Moseley iniziò a seguirla. Lei iniziò a scappare, gridando “Oh mio ​​Dio, mi sta pugnalando! Aiutatemi! Aiutatemi!”.

Le luci degli appartamenti si accesero, le persone si affacciarono alla finestra, tanto che Moseley inizialmente riparò nell’ombra. Ma nessuno uscì effettivamente per aiutarla. In tutto 38 persone assistettero all’omicidio di Genovese. Alcuni testimoni dichiararono di aver allertato le forze dell’ordine, ma all’epoca non esisteva ancora nessun numero per le emergenze, che nacque proprio dopo questo caso. Altre persone, invece, dichiararono che, dopo aver visto cosa stava accadendo, avevano deciso di non intervenire nella convinzione che qualcun altro lo avrebbe fatto.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!