Sull’aborto è stato detto tanto. Chi è a favore e chi contro. Chi sostiene che le conseguenze fisiche e psicologiche esistano solo nel caso di interruzione spontanea della gravidanza e chi, invece, afferma esattamente il contrario.

Quello di cui si parla poco, invece, è cosa accade a quelle donne a cui viene negato il diritto di abortire e che, loro malgrado, sono obbligate a portare a termine una gravidanza non voluta.

Se ne parla poco perché sull’aborto, ancora in molto Paesi, non è la donna a poter scegliere. Basta pensare alle ultime restrizioni adottate in alcuni stati americani come l’Alabama, la Georgia o in Argentina.

Qualcuno però l’ha fatto, dimostrando come la negazione dell’aborto causi nella donna un peggioramento a largo spettro, dallo stato di salute fino al lato economico.

Secondo un articolo pubblicato dal National Bureau of Economic Research, infatti, le donne costrette a una gravidanza non desiderata sono più inclini ad avere problemi fisici ed economici come difficoltà finanziarie, maggiori quantità di debiti e maggior possibilità di fallimento.

Ma vediamo più nel dettaglio quanto emerso.

Se la negazione di un diritto incide sull’economia

L’articolo analizza il diritto all’aborto in chiave economica. È stato scritto dall’economista Sarah Miller, professoressa alla Ross School of Business dell’Università del Michigan, Laura Wherry, docente alla facoltà di medicina dell’UCLA e Diana Greene Foster, professoressa di scienze riproduttive all’Università della California a San Francisco.

Secondo quanto riportato, le donne che vengono obbligate alla maternità soffrono finanziariamente con una ricaduta economica che dura per anni.

Questo non soltanto perché hanno avuto un figlio ma soprattutto perché sono state costrette a farlo in un momento in cui non erano pronte o preparate.

Come afferma Kate Bahn, economista del Washington Center for Equitable Growth, “Non è solo se hai un figlio o no, ma se hai il controllo su questa decisione.”

Ma ciò che rende così importante questo articolo sono i dati, soprattutto in un periodo in cui le donne che lavorano rappresentano una parte cruciale dell’economia americana.

All’inizio dello scorso mese, infatti, il Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti ha rivelato che, al momento, le donne rappresentano una leggera maggioranza dei lavoratori negli Stati Uniti.

Lo studio

Nello specifico l’articolo riporta i dati di uno studio, U.S.Tournaway Study, effettuato tra il 2008 e il 2010 su un campione di 1132 donne, dall’Università della California di San Francisco. Nello studio viene reso noto lo stato di salute fisica a medio e lungo termine delle donne che hanno richiesto un aborto.

Circa 800 di loro si sono presentate in 30 cliniche abortive di 21 Stati e nonostante fossero tutte nel limite delle settimane consentite per l’interruzione di gravidanza, per circa 160 di queste donne non è stato possibile abortire.

A questo punto i ricercatori hanno seguito per cinque anni, con dei controlli ogni sei mesi, tutte le partecipanti allo studio per capire cosa accadesse nelle loro vite. Le donne che avevano concluso la gravidanza non desiderata si sono trovate ad affrontare situazioni molto pesanti in termini sia fisici che mentali.

Quello che è emerso, infatti, è che le donne costrette a non abortire hanno avuto un peggioramento della propria salute con la comparsa di sintomi come mal di testa cronici, emicranie, dolori articolari e in due casi la morte nelle prime settimane dopo il parto.

Niente del genere è avvenuto nelle donne che hanno abortito. Ma non solo. In alcuni casi le donne che si sono viste negare questa possibilità hanno subito violenze da parte dell’uomo coinvolto nella gravidanza.

Di fatto, quindi, nonostante i movimenti che sostengono che impedire l’aborto significa proteggere la salute della donna, da quanto emerso interrompere una gravidanza non è dannoso per la salute fisica delle donne.

Negare la possibilità di farlo invece, può esserlo.

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Ma perché a queste donne è stato negato l’aborto?

Da quanto si è evidenziato, la condizione di partenza delle donne allontanate dalle cliniche e quelle che hanno ottenuto l’aborto era molto simile, di povertà.

Secondo la Foster infatti “Parte del motivo per cui le donne vogliono abortire è perché non si sentono in grado di portare a termine e permettersi di avere un figlio.”

Ed è proprio a causa della propria condizione economica che molte donne sono arrivate “tardi” alle cliniche, perché non in grado di sostenere i costi per il viaggio e le cure.

In alcuni casi, poi, l’allontanamento è stato causato anche dalla mancanza di personale nelle strutture in grado di seguire correttamente la procedura di aborto oltre le prime settimane di gestazione.

Nonostante la similitudine nella condizione di partenza, però, un cambiamento è avvenuto: la situazione finanziaria successiva all’evento.

A differenza delle donne che non hanno potuto abortire, infatti, chi l’ha fatto ha avuto un miglioramento della propria condizione economica, consentendo delle gravidanze successive.

«La decisione è un complicato bilanciamento di responsabilità e opportunità che devono essere soppesate da ogni donna, non dai politici o dai giudici».

Di fatto, quindi, la tesi sostenuta dalle tre autrici è che la possibilità di scelta di abortire non solo garantirebbe l’espressione di un diritto ma andrebbe a migliorare la vita delle donne che lo richiedono, sia in termini di salute che economici.

Un miglioramento personale che, di conseguenza, influirebbe sull’economia globale del Paese.

E questo fa molto riflettere se si pensa che sull’aborto e sulla libertà di espressione di questo diritto per ogni donna, sembrano esserci sempre più restrizioni, ostacoli e vincoli.

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