“A tutti è dovuto il mattino, ad alcuni la notte. A solo pochi eletti la luce dell’aurora”. Per gli artisti e i poeti, come Emily Dickinson, l’oscurità era un territorio privilegiato, il fulcro dell’atto creativo. Aspettare le prime luci dell’alba, senza aver chiuso occhio e in preda a occupazioni febbrili, è notoriamente considerato un beneficio per uno sparuto gruppo di essere umani o un tormento per gli insonni. Eppure c’è stato un tempo (piuttosto recente, a dire il vero) in cui non era così, come ha recentemente raccontato lo scrittore e docente Benjamin Reiss a The Cut.

Pensate alle volte in cui vi è capitato di fare qualcosa che vi ha tenuto svegli tutta notte. Una partenza anticipata oppure un temporale molto violento, che minacciava la vostra sicurezza. L’avete vissuta come un’avventura, vero? Potreste pensare che l’idea di non chiudere occhio sia collegata a una minaccia al proprio nido o rifugio, ma in realtà c’è anche qualcosa di più recondito nel nostro rapporto con il buio.

Il primo studioso ad aver messo in discussione il nostro concetto di “dormita notturna” è stato lo storico Roger Ekirch. Nel suo saggio del 2001 intitolato Sleep We Have Lost: Pre-Industrial Slumber in the British Isles, Ekirch ha raccontato come per molte nazioni europee e nordamericane il riposo fosse frammentato in due cicli di sonno separati, almeno fino al termine dell’Ottocento. Definiti come dead sleep (sonno profondo) e morning sleep (sonno mattutino), erano separati da una veglia di circa un’ora.

Il lavoro dello storico si è quindi concentrato sulla frequenza di questo schema di riposo in alcune popolazioni non occidentali, in particolar modo in Nigeria, Centro America e Brasile, apparentemente diversissime dalle altre prese in considerazione. Ekirch ha mostrato come diverse culture elaborassero diversi “rituali”, sia spirituali che sessuali o semplicemente di sicurezza, per spezzare la notte in due.

L’unione tra queste due fasi va collegata nel nostro continente e in quello nordamericano alla diffusione dell’illuminazione artificiale nelle strade a inizio Novecento, che ha di fatto ampliato le ore di luce e quindi produttive, eliminando la necessità di dividere la lunga e interminabile notte buia. Il motivo per cui a qualcuno ancora capita di svegliarsi nel bel mezzo del sonno e non riuscire a trovare pace può essere ricondotto proprio ai nostri bioritmi ancestrali sottosopra, rimessi in discussione dopo tanti secoli. Se calcoliamo tutta la storia dell’uomo, in pratica è solo dall’altro ieri che dormiamo così.

Anche lo psichiatra Thomas Wehr ha studiato come la privazione della luce artificiale possa avere effetti sulla vita umana. Wehr ha scoperto che, in assenza di illuminazione elettrica, i soggetti esaminati tendevano a svegliarsi intorno a mezzanotte e restare attivi per circa un’ora. In quel breve periodo di tempo nel loro cervello si potevano osservare livelli più alti di prolattina, un ormone che riduce lo stress e che viene rilasciato anche durante l’orgasmo.

Stimolati dalle ricerche di Ekirch e Wehr, altri ricercatori hanno analizzato i dati, mettendo in questione l’idea comune che dormire otto ore per notte sia un toccasana per la salute. Ci stiamo ancora adattando a questo nuovo stile di vita e non è detto che sia il più salutare. Vi svegliate ogni notte in preda al panico senza sapere il perché? Potrebbe essere proprio per via di come il vostro corpo sta “prendendo le misure” a questi luminosi tempi moderni.

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