Da diverso tempo si parla sempre più spesso della tampon tax, perché, essendo le mestruazioni una situazione fisiologica e non una scelta che le donne hanno, non si capisce per quale motivo gli assorbenti siano tuttora tassati come beni di lusso nel nostro Paese (mentre in altri stati, come la Scozia, sono addirittura gratis per le persone meno abbienti); il dibattito si è acceso anche in Parlamento, ma nel frattempo più d’uno ha sposato l’attenzione anche sul notevole impatto ambientale che lo smaltimento degli assorbenti classici, composto in gran parte di plastica, ha.

Pur non esistendo dati ufficiali in merito, fare un calcolo rapido e approssimativo dell’inquinamento prodotto dagli assorbenti non è così complesso: se si pensa che, in media, una donna usa in un ciclo mestruale dai 5 ai 20, e che il 65% della popolazione mondiale ha un’età cosiddetta fertile, ossia che circa 2 miliardi di persone hanno le mestruazioni,  è piuttosto facile immaginare la quantità di plastica che viene giornalmente abbandonata tra i nostri rifiuti.

Per questo sono state pensate alternative sicuramente più ecologiche, come le coppette mestruali o gli assorbenti compostabili: cosa sono?

Come sono fatti gli assorbenti compostabili?

Cerchiamo prima di tutto di capire come sono fatti gli assorbenti compostabili, e se sono la stessa cosa di quelli indicati dalla dicitura biodegradabile. La compostabilità è la capacità di una materiale organico di trasformarsi in compost, detto anche terricciato o composta, il quale è il risultato della bio-ossidazione e dell’umificazione di un misto di materie organiche, ottenuto attraverso quello che viene definito processo di compostaggio.

Veniamo ora alla questione riguardante la biodegradabilità: in realtà, per essere compostabile un prodotto deve  prima di tutto essere biodegradabile, e deve potersi decomporre in un lasso di tempo relativamente breve, ovvero in circa 3 mesi. La biodegradabilità infatti non è altro che la proprietà di alcune sostanze organiche di essere decomposte dalla natura.

Una delle prime aziende italiane a produrre assorbenti compostabili è EcoLuna, di cui abbiamo parlato qui.

I vantaggi degli assorbenti compostabili

Come detto, il vantaggio principale degli assorbenti compostabili è quello di causare il minor impatto ambientale possibile; anche se, lo abbiamo accennato, non esistono dati ufficiali in merito, si può ipotizzare che ogni anno vengano consumati circa 6.000.500.000 di assorbenti e tamponi, che si traducono in circa 120.100.000 kg all’anno di rifiuti difficili da smaltire.

L’assorbente tradizionale è infatti realizzato con uno strato realizzato con un mix di cotone tradizionale e polveri super assorbenti (SAP) che sono un derivato del petrolio. E se pensate che il problema stia unicamente nel petrolio, sappiate che anche il cotone fa la sua parte, dato che la sua coltura impiega ingenti quantità di sostanze chimiche: ciò significa che il cotone è pieno di pesticidi, più di qualunque altra coltura.

C’è di più: la parte assorbente viene sbiancata con cloro in un processo che rilascia diossina, e gli stessi profumi aggiunti da molte marche possono provocare prurito e irritazioni.

Bisogna inoltre contare che i produttori di assorbenti tradizionali non sono tenuti a elencare tutte le sostanze presenti, né le sostanze chimiche supplementari aggiunte, mentre i produttori di assorbenti compostabili sono in genere molto più trasparenti sui componenti di ogni parte dell’assorbente.

A cosa fare attenzione?

Come detto i prodotti devono presentare alcune caratteristiche per essere definiti compostabili; in Italia, ad esempio, i prodotti sono ritenuti idonei al compostaggio se non influiscono negativamente né sul processo di compostaggio né sulla qualità del compost finale.

Ma non sempre questo vale per gli assorbenti compostabili: alcuni infatti risultano decomposti all’80% dopo sei mesi di compostaggio, mentre i tamponi, che non hanno colla, lo sono al 100%.

Prima di gettarli nel bidone dell’umido dovremo quindi verificare tutte le informazioni presenti sulla confezione – in cui deve essere riportata la dicitura “compostabile” – e verificare con il Comune di appartenenza, o il gestore della raccolta, quale sia il corretto conferimento e trattamento di questo tipo di rifiuti.

Il Consorzio Italiano Compostatori (CIC), uno degli enti europei che certificano quali prodotti possono essere compostati, ha chiaramente fatto capire che, ad oggi, non esistono ancora assorbenti o tamponi aventi la certificazione Compostabile CIC, indispensabile affinché gli impianti di compostaggio accettino come rifiuti tutto ciò che non è scarto alimentare.

Anche se un assorbente venisse prodotto seguendo tutti gli standard UE riguardanti i prodotti compostabili, quasi sicuramente l’impianto di compostaggio non lo accetterebbe, poiché non attrezzato per trattare questi prodotti, che, una volta usati, contengono sostanze biologiche umane, per cui non ci sono regole sul trattamento a livello igienico-sanitario.

Sarà anche per questo che, pur avendo l’Iva abbassata dal 22% al 5%, questi assorbenti rimangono tuttora un prodotto di nicchia che, secondo quanto riferito da Aogoi, rappresentano meno dell’1% del totale, lo 0,2% di quelli venduti in farmacia e lo 0,6% di quelli venduti nei supermercati.

Ciononostante, sarebbe importante preferirli anche per quella maggiore chiarezza sull’elenco delle sostanze usate per produrli cui facevamo riferimento prima, che ci danno una garanzia in più quantomeno per la nostra salute.

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