Ageism: se Alessia Marcuzzi è "troppo vecchia per", figuriamoci noi

"Non ho bisogno di essere una ragazza per sentirmi bene, né di essere più giovane. Avere dei progetti, voler evolvere e progredire anche oltre la mezza età non significa sembrare più giovani ma, semplicemente, vivere pienamente la propria età quale che sia".

Forse è preferibile che sia uno psichiatra a indicare la sindrome di cui soffrono le persone che periodicamente richiamano Alessia Marcuzzi a un abbigliamento più castigato e consono alla sua condizione di madre, ma io so con esattezza come si chiama il pregiudizio di coloro che la invitano a coprirsi in quanto “troppo vecchia” per mostrare quelle gambe da fenicottera: si chiama ageism.

L’ageism è un neologismo (di cui non esiste corrispettivo in italiano) con cui si fa riferimento a un “atteggiamento discriminatorio e pregiudizievole” basato sull’età e sugli stereotipi a questa legati .

È ageism quando vi dicono che siete troppo anziane per ottenere un lavoro o troppo giovani per svolgerlo correttamente; è ageism quando i media rappresentano le persone della vostra età in maniera caricaturale e parodistica, facendovi sentire umiliate.

Lungi dall’essere questione di poco conto, l’ageism è un pregiudizio in grado di provocare un impatto significativo non solo sull’immagine pubblica delle persone che lo subiscono ma anche nella loro autostima, nelle prospettive di lavoro, nella situazione finanziaria e, in ultimo, nella loro qualità di vita.

Se pensate di non esserne mai state oggetto – o soggetto attivo – sbagliate: ognuna di noi nel corso della propria vita ha sparso ageism a profusione, inconsapevolmente e animata dalle migliori intenzioni, e ne è a sua volta stata vittima.

Un esempio? Facile: quando lusingate un’amica dicendole che non dimostra la sua età, quello è ageism – uno dei più insidiosi, peraltro, perché nascosto dentro un complimento. Di fatto, dire a qualcuno che dimostra meno anni di quelli che ha significa affermare implicitamente che la sua età anagrafica non va bene, che è socialmente svantaggiosa, che invecchiare è invalidante perché allontana dal centro della scena rendendo le persone irrilevanti.

Non a caso Aurore, la deliziosa protagonista della commedia francese “Cinquanta primavere” diretta da Blandine Lenoir, allo scoccare dei cinquant’anni diventa talmente invisibile da non riuscire nemmeno più ad aprire le porte automatiche, costringendosi a contorcimenti e saltelli per consentire alle fotocellule di rilevarne la presenza – una metafora in cui ci siamo talmente rispecchiate da non sapere se ridere o piangere tantissimo.

“Identificare la voglia di vivere e l’energia propulsiva esclusivamente con la gioventù è un errore di tanti”, dichiara Stefania Lai, artista e mia musa, da sempre in lotta contro i pregiudizi dell’età.

“Io sono attiva e creativa, ho voglia di vivere e di fare forse più di quando avevo vent’anni. Non ho bisogno di essere una ragazza per sentirmi bene, né di essere più giovane. Avere dei progetti, voler evolvere e progredire anche oltre la mezza età non significa sembrare più giovani ma, semplicemente, vivere pienamente la propria età quale che sia.

Quanti anni mi sento? Quelli che ho, con la gioia, la tristezza, la fatica, la leggerezza e tutti i momenti di buio e di luce del mio tempo. Mi sento bella nei miei anni e non intendo dimostrarne né di più né di meno, mi arrabbio quando mi viene detto che non li dimostro perché mi sembra venga cancellato il percorso che mi ha portato sin qui.

E se pensate che la lotta di Stefania contro i pregiudizi sull’età sia tutto sommato irrilevante, sappiate che nel resto del mondo è presa talmente sul serio da dar vita ad associazioni internazionali per quali la canadese I.F.A. – International Federation of Ageing e organizzazioni come #DisruptAging.

Perché, lungi dall’essere risibile, l’ageism porta con sé il problema collaterale di essere rivolto principalmente alle donne e di assumere dunque una pesante sfumatura sessista.

“Esattamente – conferma Stefania – Fateci caso: il pregiudizio sull’età è quasi esclusivamente rivolto a noi. A nessuno verrebbe in mente di riportare alla gioventù un uomo nella mezza età di cui, anzi, solitamente viene sottolineato il fascino che la maturità gli ha conferito.

Nei paesi anglosassoni si è soliti dire che “men age like wine, women like milk” – gli uomini invecchiano come il vino e le donne come il latte – e il mondo sembra dar ragione a questa affermazione: ho amiche i cui capelli stanno brizzolando come quelli di George Clooney eppure non ricevono complimenti al riguardo, solo sopracciglia alzate e un vago senso di riprovazione. Non c’è da stupirsi, quindi, se quando il corpo inizia a mostrare i segni del tempo ci si dia tutte da fare per dissimularli”

Perché, mi fa osservare Stefania, l’ageism più feroce è quello riposto nello sguardo che rivolgiamo a noi stesse: lo sbigottimento con cui osserviamo una nuova ruga, l’esitazione nell’indossare quella gonna che ci piaceva tanto e improvvisamente troppo corta, lo smarrimento con cui freniamo certi slanci del cuore.

Siamo talmente intrise di ageism verso noi stesse che non c’è da stupirsi se poi quello sguardo giudicante finiamo per posarlo anche altrove: su un’incolpevole Alessia Marcuzzi, ad esempio, o su Grace Jones, icona degli anni Ottanta rea di aver sfilato sulle passerelle parigine – a settant’anni compiuti – con la consueta spavalderia e per questo giudicata patetica.

Per evitare il perpetrare del pregiudizio, Stefania propone un rimedio: “Ogni volta che ci viene detto che sembriamo più giovani, ogni volta che noi stesse vorremmo essere più giovani, iniziamo a chiederci: più giovani rispetto a cosa?

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