Ci sono malattie che sono letteralmente considerate “invisibili”, non solo nella percezione popolare, ma anche dallo stesso Sistema Sanitario, che molto spesso non è in grado di fornire diagnosi adeguate o addirittura minimizza le problematiche.

La fibromialgia è una di queste, ed è importante parlarne affinché l’informazione e l’educazione sul tema crescano sempre di più; per questo, ci è sembrato davvero molto eloquente il video pubblicato su Instagram da Sara Calabria, sulla teoria dei cucchiai.

Ma il discorso è talmente importante che abbiamo deciso di approfondire con Calabria l’argomento, focalizzandoci sulla sua personale esperienza.

Intanto spieghiamo che tipo di malattia cronica hai tu.

Ho la fibromialgia come malattia primaria, assieme alla spasmofilia, una patologia del sistema nervoso cronica, e le artrosi che, in realtà, altro non sono che conseguenze dell’andamento cronico della malattia. Ho 29 anni, i primi sintomi li ho avuti a 6, ma la prima diagnosi solo a 23. In mezzo, sono stata quella che voleva attirare l’attenzione, che non aveva nulla, e io ho dovuto normalizzare, fino a nascondere, tutti i miei sintomi. Infatti solo da poco l’ho detto ad alcuni familiari e agli amici. Sono rinata, dopo la diagnosi, e ho smesso di vergognarmi perché ho accettato questa cosa”.

La teoria dei cucchiai serve a far capire che il dispendio di energia di una persona non malata cronica e di una che invece lo è è molto diverso, anche per attività considerate assolutamente normali come appunto fare colazione o fare la spesa. Ma vorrei che tu spiegassi nel dettaglio com’è una tua giornata, quando il dolore è più intenso, per provare a far capire realmente le difficoltà che si incontrano nel quotidiano.

La mattina è la parte più traumatica per un malato; il tuo cervello si attiva un attimo prima rispetto al corpo, perciò spesso passa una, a volte anche due ore, da quando ti svegli a quando riesci effettivamente ad alzarti dal letto. La notte non dormi bene, perché quando i muscoli dovrebbero rigenerarsi, il cosiddetto sonno ristoratore, i tuoi invece si contraggono, e la mattina parte quindi con contratture dolorosissime.

Io lavoravo, ma ho dovuto licenziarmi a ottobre perché la cosa iniziava a farsi troppo pesante per il mio corpo, mi ha chiesto una pausa. Dovevo mettere la sveglia una o due ore prima rispetto a quando avrei dovuto effettivamente alzarmi e capire quanto tempo prendermi per svegliarmi, prepararmi… Poi andavo a lavoro in treno, quindi c’era la camminata di quasi 1 km da casa alla stazione, e spesso arrivavo già stanca prima ancora di iniziare a lavorare.

Il fatto poi che non sia una malattia riconosciuta dal SSN rende ancor più difficile l’ambito lavorativo, perché non viene capita, la devi nascondere ma non sempre è facile, a volte devi fermarti qualche minuto in più per riuscire a riprendere le energie, ma non sempre questa è vista come una cosa fattibile.

Finito di lavorare torni a casa e spesso non hai neanche la forza di cucinare e mangiare, ti metti subito a letto, ma così facendo trascuravo anche la mia vita privata, non vedevo quasi mai mio marito. Dovevo capire a cosa dovevo rinunciare durante la giornata: se noti molti fibromialgici non si truccano, non si pettinano, perché per loro anche quello è un dispendio di energie. Alla fine, per quanto abbiamo una soglia più alta di sopportazione del dolore, perché devi sopravvivere, arrivi a un punto in cui hai la brain fog, la nebbia mentale: il tuo organismo non riesce a fare più niente, anche parlare ti sembra un vero e proprio lavoro, e quindi inizia a risentirne ogni aspetto della tua vita.

Ovviamente c’è anche il discorso maternità: questa è un’altra delle cose a cui dovrò probabilmente rinunciare, e non solo perché ci sono studi recenti che stanno studiando possibili implicazioni genetiche della malattia, ma anche perché non avrei le energie necessarie per occuparmi di un figlio, e non voglio che a doverci pensare siano i miei genitori o mio marito“.

Sempre più celebrità, mi viene in mente Lady Gaga fra le più recenti, si stanno aprendo su fibromialgia e malattie croniche. Quanto è importante questo tipo di testimonianza?

“Sicuramente tanto, perché a differenza mia queste persone riescono a dare più visibilità anche ai non malati. Lady Gaga ha mostrato che anche una persona influente e famosa può essere malata, tanto da dover annullare dei concerti, e questa cosa spinge i malati a dire ‘Non me ne devo vergognare‘”.

La fibromialgia in Italia non è inclusa negli elenchi ministeriali delle patologie croniche e non è dunque inserita nei LEA, livelli essenziali di assistenza. Ciò significa che chi ne soffre non ha diritto a esenzioni e spesso viene persino ignorato dai medici. Quali sono i servizi che dovrebbero essere implementati?

Non solo per le visite dobbiamo sempre rivolgerci al privato, ma dobbiamo anche affidarci a un medico che conosca la nostra storia; con una visita con il SSN ti può capitare ogni volta un medico diverso, che potrebbe anche non conoscere, oltre a te, la patologia, così siamo obbligati ad andare privatamente, con costi – circa 200 euro a visita – non indifferenti, a cui vanno aggiunti i farmaci. Il fatto che sia così poco conosciuta dai medici stessi, che le diagnosi siano così tardive, peggiorano la condizione del paziente: tante patologie subentrano perché il corpo deve lavorare diversamente, senza contare la parte mentale, altrettanto importante. Io, ad esempio, ho molti problemi psicologici causati dai medici che non credevano alla mia patologia, che mi hanno fatto credere che fossi io quella sbagliata, tanto che oggi ho la fobia dei medici e dismorfismo corporeo. Per anni ho visto il mio corpo come il problema, mi sono sentita sbagliata. 

Per prima cosa i medici dovrebbero ascoltare il paziente, cosa che spesso non riescono a fare a causa delle tempistiche che hanno, e motivo per cui non ti ascoltano neppure. A questo aggiungi che non tutti hanno l’empatia necessaria per mettersi davvero in contatto con te e capirti. Se io, medico, non conosco una patologia, dovrei indirizzarti da qualche collega più preparato, non minimizzare o incolpare il paziente. Dovrebbero conoscere i loro limiti rispetto alla patologia“.

 

 

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