Sylvia Earle: "I figli ci chiederanno perché non li abbiamo salvati quando potevamo"
Sylvia Earle, grande oceanografa statunitense, ci spiega perché non possiamo aspettare ancora: è il momento per salvare gli oceani, o sarà troppo tardi per farlo
Sylvia Earle, grande oceanografa statunitense, ci spiega perché non possiamo aspettare ancora: è il momento per salvare gli oceani, o sarà troppo tardi per farlo
La chiamano Her Deepness, perché Sylvia Earle è davvero una regina degli abissi. Classe 1935, ha iniziato da ragazzina a immergersi nelle acque della Florida, e non si è più fermata. Dopo una vita passata a studiare i mari, a più di ottant’anni è ancora uno dei massimi punti di riferimento nell’oceanografia.
Ecco perché dovremmo ascoltarla: poche altre persone al mondo possono contare su una conoscenza così estesa della vita sommersa, oltre a quindici lauree ad honorem e un lungo elenco di pubblicazioni scientifiche. In un lungo e accorato discorso per Ted Talk, ha però lanciato il suo grido d’allarme.
Cinquant’anni fa, quando iniziai a esplorare l’oceano, nessuno – né Jacques Perrin, né Jacques Cousteau, né Rachel Carson – s’immaginava che potessimo mai danneggiare l’oceano con ciò che vi versavamo, o con ciò che ne prelevavamo. Sembrava, all’epoca, ancora un mare di Eden, ma adesso lo sappiamo, e ci si prospetta un paradiso perduto.
Sappiamo sempre di più dei problemi che riguardano i territori emersi del nostro pianeta, ma restiamo relativamente all’oscuro della grande tragedia che si sta consumando sott’acqua. Grazie a dati e statistiche, Sylvia Earle ci costringe ad affrontare il discorso non solo per noi, ma soprattutto per le future generazioni. E lo fa citando un altro storico discorso di Ted Talk, quello tenuto da Ray Anderson, un imprenditore illuminato e pioniere nel campo della produzione industriale sostenibile, che credeva nella necessità di salvaguardare la Terra per i bambini del futuro.
Sono tormentata dal pensiero di quello che Ray Anderson chiama “i figli del domani” che chiederanno perché, quando eravamo di guardia, non siamo intervenuti a salvare gli squali e i tonni rossi e le barriere coralline e l’oceano vivente quando eravamo ancora in tempo. Beh, è ora il momento. Conto sul vostro aiuto per esplorare e proteggere il vasto oceano in modo da riportarlo in salute e, facendo così, garantire una speranza al genere umano. La salute dell’oceano equivale alla nostra salute.
Sfogliate la gallery per leggere le parole di Sylvia Earle…
In 50 anni abbiamo perso (e soprattutto mangiato) più del 90 percento dei grandi pesci dell’oceano. In particolare, ci sono alcune specie da tutelare:
Barbaramente, uccidiamo gli squali per farne la zuppa di pinne, miniamo le catene alimentari che determinano l’assetto chimico del pianeta e innescano il ciclo del carbonio, quello del nitrogeno, il ciclo dell’ossigeno e quello dell’acqua il nostro sistema di supporto vitale. Continuiamo a uccidere il tonno rosso, specie in estinzione, e ben più preziosa viva piuttosto che morta. Tutte queste sono parti del nostro sistema di supporto vitale.
In molti sottovalutano il problema che la Terra, oceani e cieli compresi, possa essere in affanno. Semplicemente, tendiamo a considerarla resistente e grande, ma non è così.
Poteva essere vero 10.000 anni fa, o forse ancora 1.000 anni fa, ma negli ultimi 100, e soprattutto negli ultimi 50 anni abbiamo prosciugato il patrimonio, l’aria, l’acqua, la fauna, che rendono possibili le nostre vite. Nuove tecnologie ci permettono di comprendere la natura della natura, la natura di ciò che sta accadendo. Mostrandoci l’impatto che abbiamo sulla Terra. Perché, prima bisogna riconoscere di avere un problema. E, per fortuna, in quest’ epoca abbiamo approfondito i problemi più che in ogni altra precedente. E la conoscenza genera amore. E da questo amore nasce la speranza che riusciremo a trovare un ruolo duraturo per noi stessi all’interno dei sistemi naturali che ci sostengono. Ma innanzitutto serve la conoscenza.
Tra i grandi problemi di cui ci parla Sylvia Earle, c’è quello dello scioglimento progressivo del ghiaccio, causato dall’innalzamento delle temperature mondiali. Ciò provoca un cambiamento negli equilibri degli oceani.
Dieci anni fa, ho camminato sul ghiaccio del Polo Nord. Rischiamo di vedere in questo secolo un Oceano Artico senza ghiaccio. Pessima notizia per gli orsi polari. Pessima notizia anche per noi. L’anidride carbonica in eccesso non solo alimenta l’effetto serra, ma cambia anche l’equilibrio chimico dell’oceano, rendendolo più acido. Brutta notizia per i coralli e per il plankton, fonte di ossigeno. E brutta notizia per noi.
Adesso è il momento di agire per preservare le barriere coralline, ecosistemi ricchi di vita e importantissimi per gli oceani e i mari.
Se dovessimo continuare sulla strada attuale, fra 50 anni le barriere coralline forse saranno già estinte, e non vi sarebbe più pesca commerciale, giacché il pesce sarebbe scomparso. Immaginate l’oceano privo di pesce. Immaginate cosa comporterebbe per il nostro sistema di supporto vitale. I sistemi naturali sulla terraferma sono anch’essi nei guai, ma i problemi sono più visibili, e vi sono iniziative per proteggere gli alberi, i presidi e la fauna.
La pesca intensiva genera molti più danni di quanto si possa immaginare.
Milioni di tonnellate di reti da pesca abbandonate, attrezzature che continuano ad uccidere. Ingolfiamo l’oceano, avvelenando così il sistema vascolare del pianeta, e gli stiamo sottraendo centinaia di milioni di tonnellate di specie animali, tutte unità a base di carbonio. […] Uccidiamo con lenze lunghe, gli ami con esca a ogni metro, di lunghezze fino a 50 miglia o più. Pescherecci industriali a strascico o draganti raschiano i fondali come bulldozer, portandosi via tutto ciò che incontrano.
Qualcosa si sta muovendo, ma secondo Sylvia Earle non è abbastanza.
Negli ultimi tre anni, per esempio, gli Stati Uniti hanno dichiarato 340.000 miglia di oceano monumento nazionale. Ma questo ha aumentato l’area globale di oceano protetto portandola solamente dallo 0,6 di 1% allo 0,8 di 1%. Le aree protette si possono riprendere ma ci vuole molto tempo prima che si ripopolino di scorfani o rane pescatrici cinquantenari, di squali, di spigole, o di pesci specchio duecentenari. Noi non mangiamo mucche o galline vecchie 200 anni.
Ci sono tanti parchi marini in tutto il mondo, alcuni dei quali protetti da decenni, ma non restano comunque immuni al rischio che riguarda tutti gli oceani del mondo.
I tre milioni di miglia quadrate di foresta galleggiante dei Sargassi vengono falciati per alimentare il bestiame. Il 97 percento della terra delle Isole Galapagos è protetta, ma il mare adiacente viene saccheggiato dalla pesca. Lo stesso avviene in Argentina, sui terrazzi marini della Patagonia, ormai in condizioni critiche.
La prossima volta che ordinate sushi o sashimi, o un trancio di pesce spada, o il cocktail di gamberi, qualunque sia la fauna dell’oceano che avete scelto di consumare, pensate al suo vero costo. Per ogni chilo venduto al mercato, più di 10 chili, a volte anche 100, saranno finiti rigettati come scarto. È questa la conseguenza del nostro ignorare che ci sono limiti a ciò che possiamo prelevare dal mare.
Cosa ne pensi?