Di anoressia è sempre bene parlare. Perché, nel marasma di tante campagne di body positive sempre bilanciate dall’immancabile body shaming, delle influencer che sui social guadagnano like promuovendo diete, e degli standard di bellezza irreali promossi ormai da decenni dal mondo di fashion, pubblicità e costume, dove meriti di essere conosciuto solo se bello e prestante, molto spesso ci dimentichiamo che chi fruisce di questo genere di messaggi sono soprattutto i più giovani, ovvero chi si trova in una fascia d’età in cui l’autostima è latitante e si vive un estenuante, e mai gratificante, confronto con se stessi e con l’immagine che vorrebbero avere.
Sia chiaro, di anoressia non si ammalano solo i giovanissimi, perché la percezione di noi stessi, della nostra fisicità, il senso di inadeguatezza di chi si lascia abbindolare dagli stereotipi estetici proposti da altri, spesso del tutto finti, sono elementi che non hanno età. Sono però gli adolescenti a cadere più spesso vittime delle proprie insicurezze, fino a finire nel vortice del disturbo alimentare, da cui talvolta non riesco a uscire per molto tempo.
L’importante, certo, è uscirne, comunque, e proprio per questo abbiamo voluto ascoltare Claudia Rossini, su instagram claudiapennylane, che lotta con l’anoressia praticamente da tutta la vita e che, con coraggio, fatica e forza di volontà, non senza ricadute e intoppi, sta pian piano riuscendo a liberarsi di quel mostro che le ha divorato l’anima per così tanti anni.
“Nasce tutto all’incirca all’eta di 12 anni – ci racconta – Non c’è, a tutt’oggi, una motivazione determinante per l’inizio del disturbo. Ero una bambina ‘normale’, una famiglia tradizionale, Dove c’era, sì, poco spazio per l’affetto, il sostegno.
Ho iniziato piano piano, con una scusa dopo l’altra, una restrizione dopo l’altra, a perdere peso. Ma non bastava mai. Da grammi a chili, e chili. Fino ad arrivare a 29 chili. Al tempo la malattia non era molto conosciuta. Io perdevo peso.
E solo quando la situazione si fece drastica, fui portata da una psicologa… Che poco ha fatto. Perché da anoressia in breve tempo la patologia si spostò in un altro mostro immonde. La bulimia. Che mi ha accompagnata per oltre 20 anni”.
Cosa sentivi dentro di te mentre vedevi il tuo dimagrimento? Ti sentivi forte, ti sentivi in colpa, sentivi di piacerti, o avevi la percezione che ti stavi facendo del male?
Come sei riuscita a uscirne, visto che vedo che pian piano stai guarendo?
Ho avuto paura, seria paura di stare male, di morire.
Avevo portato il mio corpo lontanissimo da ciò che poteva essere definito il corpo di una donna. A 33 anni, pesavo 36 chili, e non mangiavo, mi allenavo sempre, mi abbuffavo di nascosto, e altrettanto di nascosto vomitavo. Non era una ricerca di attenzione.
Era uno sparire piano piano, convinta di non essere amata, mai abbastanza, in difetto. Su tutto. Su tanto.
Spesso, per i genitori, gli amici e le persone vicine a una persona anoressica la domanda più frequente è: “c’è qualcosa che avrei potuto fare per impedirlo?”. Qualche segnale, un sintomo di quel malessere che poi sfocia nel rifiuto del cibo… Esiste o no?
“È vero che ognuno ha il suo perché e il suo trascorso. L’esordio della malattia è diverso per tutti. Ma tante cose, molte, sono in comune. Come si fa a riconoscere la patologia? Oltre alla magrezza, c’è la tendenza all’eccessiva preoccupazione per il cibo, per le calorie, l’intensa attività fisica tesa a bruciare, calcolare, smaltire. E poi l”isolamento graduale, gli scatti di isterismo se non si possono mantenere certe routine o rituali, il vomito, l’uso di lassativi, i digiuni misti alle abbuffate…
Le persone che soffrono di queste patologie si nascondono, a volte molto bene, a dispetto di quello che di solito si dice, non si vuole attirare l’attenzione, ma si vuole scomparire. Devastati dal senso di colpa, dall’inadeguatezza, dalla vergogna.
E ci vogliono un aiuto e l’intervento tempestivo. Un appoggio e un valido aiuto terapeutico e psicologico, anche per i familiari a mio avviso, che si trovano ad affrontare un mondo pericoloso, di dolore, di lotte. Chi è nella patologia non è più consapevole dei propri atteggiamenti. Tutto quello che gli viene detto e suggerito è falso, è esagerato ed impossibile da affrontare. Nel pieno della malattia le resistenze sono tantissime. La famiglia deve essere seguita quanto chi soffre di tal patologia“.
Ci vuole pazienza, ci vuole forza e ci vuole fiducia nei confronti di chi ti vuole dare una mano e del terapista con cui interagisci. Lasciati una, due, mille possibilità. Cadrai, ma potrai sempre rialzarti. Piangerai, ma imparerai a essere forte tanto da asciugarti le lacrime e andare avanti a testa bassa.
La domanda più importante è: a che punto senti di essere tu ora?
Ma si può. Stare bene si può.
Ho imparato a scegliere
Tre anni fa non sapevo nemmeno da che parte ero girata.
Ero nel pieno della baraonda dei #disturbialimentari.
La mia vita era un combattimento tra il non mangiare e il mangiare troppo. Tra il vomitare tutto, rifiutare tutto, allenarmi fino allo sfinimento. Nascondermi, mentire, morire nel silenzio.
Questa era la mia vita.
Una nebbia di bugie, di dolore, di vuoto.
Tre anni fa ho iniziato a cercare aiuto. Tre anni fa ho iniziato un percorso che ad oggi so chiamare per nome: VITA, si chiama VITA.
Dopo tre anni, ho scelto di dare uno stop alla terapia. Perché mi teneva troppo radicata nel passato. Passato che ho imparato a capire, perdonare, lasciar andare.
Dopo tre anni ho deciso di camminare con le mie gambine.
Ho scoperto la meditazione, il respiro. E con queste sto ritrovando ME STESSA.
L’amore Vero. La Compassione. Il Perdono. Saper fluire. Ringraziare. Allontanare. Centrarsi. Scegliere. La Consapevolezza. Andare adagio. Fermarsi. Godersi. Affrontarsi. Conoscersi. Essere sincere.
Piano piano, giorno per giorno.
Sfida dopo Sfida.
Quattro mesi.
Ho imparato a saper scegliere.
Ad accarezzarmi invece di pizzicare la pelle. Ad allenarmi con amore e dedizione.
Ad allenarmi per scaricare tensione e ricaricare le energie.
Non per perdere, ma per guadagnare.
A fermarmi per pensare.
A stare DENTRO il mio Corpo. Con presenza.
Con rispetto, dei miei limiti, delle mie esigenze, dei miei tempi.
Ad ammettere. Ad espormi per affrontarmi.
Non ho piu paura di restare in cammino.
Tira fuori gli artigli
Ed è iniziato un percorso lungo, doloroso, pieno di ricadute bestiali, di lacrime, di pugni sul cuscino, di tentativi, di pensieri, di paure, di domande, di un passo alla volta verso la Donna che sono oggi e quella che diventerò domani.
Dopo anni di Dolore e cattiverie abominevoli verso la tua anima ed il tuo corpo, un percorso così fa paura, ma è il minore dei mali.
Dopo tutte le brutalità che ti sei inflitta, cosa può farti più male?
Continuare a morire, o sbocciare come un fiore di primavera?
Continuare a scivolare all’inferno o spiegare le tue ali e volare in alto verso la vita?
Quella che vivi così, in quella palude melmosa dei #disturbialimentari, non puoi considerarla #vita.
Quel corpo che massacri, quella magrezza paurosa, in quelle ossa fragili, non puoi considerarti #donna.
Stai scomparendo dal mondo.
Ma il mondo aspetta te.
Tira fuori gli artigli.
Parte tutto da noi
Ieri riflettevo su quante cose sono cambiate..
E su quante ancora devo lavorare e cambiare. Pensavo al ruolo della “vittima”. Di come un comportamento vittimistico ci porta a giustificare e perpretare certi atteggiamenti, soprattutto quelli negativi, su noi stesse.
In passato è stata una costante incolpare questo e quello, tal persona e tal cosa, per non assumere la responsabilità delle mie azioni e decisioni.
E per colpa di questo e di quello mi concedevo il “Lusso” di rimanere nel loop dei miei atteggiamenti sbagliati, soprattutto verso me stessa, e di non impiegare il minimo sforzo per agire verso il cambiamento.
Perché “tanto è cosi da anni… Tanto Lui/Lei non si sforzano di migliorare nei miei confronti, perché dovrei farlo io… Mi trattano male, faccio altrettanto con me stessa… Per colpa sua mi sento cosi. per colpa di, per causa di..”.
E pensieri vittimistici tipo “Sono nata sotto una cattiva stella, e ma io non ce la faccio, non sono mai stata brava a… È inutile che ci provo, tanto non sono costante… Blablabla”
Un sacco di cazzate.
Sono tutte bugie che ci si racconta per non prendere in mano la propria vita e farne qualcosa di magico.
Sono tutte bugie di comodo che ci si dice per giustificare la pigrizia, la non curanza, la paura del cambiamento, il terrore di dover affrontare il buio dentro, la vera sé, i propri mostri.
Sono tutte scuse per non iniziare a vivere davvero.
Perché è piu facile.
Piu facile rimanere incollati al passato o alla paura del futuro per non agire, ora.
Ci si inventa scuse per non perdonare e lasciar fluire.
Per non rallentare e viversi secondo le proprie regole
Per non prendersi responsabilità e poi additare gli altri di farci del male.
Siamo noi. Parte tutto da noi. Dalle nostre scelte. Dai nostri pensieri.
Cosa avrei voluto dagli altri
Ti diranno che mangi poco, che mangi troppo. Qualcuno che non capisce una mazza ti metterà sotto il naso montagne di cibo, solo per vedere che reazione avrai. Qualcuno si offenderà per un invito al giro pizza rifiutato.
Ti diranno che sei troppo magra, troppo magraaa. Troppo grassa. Un pò gonfia? Che gambotte che hai messo! Madonna se sei secca, ti si vedono le ossa! Ti alleni troppo, sei fissata, lo fai solo per bruciare calorie… Devi fermarti! Insomma però, che apatica, non fai nemmeno una camminata, si vede che sei un pò depressa in questo periodo… E che cazzo!
“Ciao, come stai? Come sta andando questo periodo, in questo viaggio dentro te stessa? Non deve essere facile cazzo Cla, però vedo che tieni botta. Sei una roccia. Se ti va usciamo a bere un caffe e ci raccontiamo”.
Ecco cazzo. Questo mi sarebbe tanto piaciuto sentire un paio d’anni fa.
Perché avere o aver sofferto di #disturbialimentari non vuol dire avere la lebbra o essere “mattidalegare”.
Significa forse, avere una sensibilità maggiore.
Sicuramente più alta di chi ha preferito offenderti invece che darti una carezza.
Ho imparato a non sentire i giudizi degli altri
Sapete qual è la verità?
Che ‘sta cosa dei disturbi alimentari pensate sia solo il gioco del voler fare la modella. E che probabilmente provate una fottuta invidia per chi, nonostante una badilata inconsapevole di merda sulle spalle, ha lottato o lotta per uscirne. E una volta conquistati piccoli traguardi, suda per essere in grado di mettersi in gioco sempre, in discussione sempre, nuotare, camminare, volare alto.
Mentre voi galleggiate nei salvagenti dei vostri giudizi.
Gli abbracci che cercavi impara a darteli tu
E non credere a chi ti dice che è impossibile guarire, che la malattia ti accompagnerà tutta la vita facendoti cadere.
Sì. Sarà dura e difficile, e nella tua testa ci saranno pensieri che urlano. Nello specchio vedrai a volte qualcosa che non sempre ti piace, nel tuo piatto ci sarà un pò di paura ogni tanto.
Ma tu, a denti stretti devi lasciar fluire e ad accettare, fidarti, andare avanti, sfruttando tutti gli aiuti che potrai avere e il nuovo amore per te stessa.
Tutto parte da TE.
Impara ad essere Felice.
Impara a dire di No.
Impara a stabilire le tue priorità.
Non essere arrabbiata con chi non capisce il tuo dolore, né con te stessa.
Gli abbracci che tanto hai desiderato imparerai a darteli tu, come le pacche sulle spalle, per i tuoi piccoli o grandi successi… L’amore, l’orgoglio, i premi, tutti sentimenti che sono in fondo al tuo cuore. E stanno aspettando di essere meritati, da te.
Forza.
Inizia subito
Io non sono arrivata da nessuna parte, ma sono partita un paio di anni fa. E continuo il mio cammino. Perché la vita non finirà mai di stupirti e metterti alla prova.
Gioca, vivi.
Cosa ne pensi?