La tecnologia ha reso accessibili alla gran parte delle persone molte cose prima difficilmente alla portata dei più, ma ovviamente porta con sé anche dei lati negativi, soprattutto se pensiamo ai più giovani, che spesso dagli strumenti tecnologici ricevono input che possono condurre ad atteggiamenti sbagliati.

Imparare fin da piccolissimi a destreggiarsi fra smartphone o computer, infatti, non è propriamente una cosa buona, anzi: ci sono svariati studi che chiedono ai genitori di rimandare il più possibile l’approccio dei bambini con i device elettronici.

Invece, le ultime generazioni passano troppo tempo di fronte a telefoni, console da gioco o pc, rischiando di sviluppare vere e proprie patologie da iperconnessione. Una di queste è il vamping.

Cos’è il vamping?

Il vamping è una pratica estremamente diffusa tra gli utenti di Internet più giovani, e riguarda lo stare svegli fino all’alba per condividere o pubblicare post, messaggi, per giocare o semplicemente per scrollare tra i feed dei social.

A menzionare per primo il termine è stato un articolo del New York Times del 2014 che ha approfondito questo trend; questo articolo evidenziava, già sei anni fa, come i ragazzi di età compresa tra i 15 e i 17 anni dormissero, nella metà dei casi, appena circa sette ore a notte, 90 minuti in meno rispetto alla raccomandazione minima, secondo quanto riportato dal sondaggio della National Sleep Foundation.

Il nome rimanda ovviamente al vampiro, l’essere notturno per eccellenza, e non è un fenomeno esclusivamente americano: solo nel nostro Paese, secondo quanto riportato dall’Osservatorio Nazionale Adolescenza, su oltre 8.000 ragazzi di circa 18 regioni italiane, 6 adolescenti su 10 (4 su 10 nel caso dei preadolescenti) restano spesso svegli fino all’alba per chattare o giocare con gli amici in rete.

I segnali rivelatori del vamping

Un ragazzo che fa vamping probabilmente

  • sarà più irritato e nervoso;
  • dimostrerà scarsa attenzione;
  • dimostrerà scarso rendimento a scuola.

Cosa c’è alla base del vamping? Si potrebbe, molto semplicemente, sostenere che essa sia la risposta a una certa “noia” generazionale e diffusa, ma secondo alcuni ricercatori, come Danah Boyd, ricercatrice presso la Microsoft Research e autrice del libro It’s Complicated: The Social Lives of Networked Teens, ci sono altri ordini di ragioni: in primis la volontà di restare sempre connessi con i coetanei, per non “rimanere indietro”.

Durante la notte i ragazzi sono più sicuri di non essere interrotti e di godere quindi della privacy necessaria per le loro attività. C’è, naturalmente, la volontà di mostrare di appartenere alla comunità e di ricevere quindi l’approvazione sociale, tanto che, per essere notati o interagire con altri “vampiri” virtuali si usano anche hashtag dedicati, come appunto #vamping.

Dall’altro lato, invece, quello sarebbe effettivamente l’unico momento, per gli adolescenti, per coltivare altri interessi, dovendosi destreggiare quotidianamente tra scuola, compiti, sport, altre attività.

Le conseguenze del vamping

Ovviamente il vamping può avere conseguenze importanti sullo stato psico-fisico dei giovani che lo praticano, legate soprattutto alla privazione del sonno, che come detto poc’anzi causa irritabilità, nervosismo, deficit di concentrazione e difficoltà di apprendimento.

C’è anche una ricerca, condotta da Winsler, Deutsch, Vorona, Payne e Szklo-Coxe, effettuata su 28.000 studenti della scuola superiore, che ha messo evidenziato il legame tra la mancanza di sonno e l’aumento di sentimenti come la tristezza e la depressione nei giovani, e persino un aumento delle tendenze suicide.

Come superare il vamping?

Ad avere un ruolo fondamentale sono naturalmente famiglia e scuola, i primi a essere responsabili dell’insegnamento di una corretta educazione alla tecnologia nei confronti dei più giovani; per far comprendere come i dispositivi tecnologici, e soprattutto i social media, debbano essere usati può essere importante organizzare iniziative di sensibilizzazione, e tenere a mente alcune regole fondamentali valide anche per i genitori, ad esempio:

  • dare regole precise per determinare il consumo giornaliero di tv, social, computer e via dicendo;
  • dare ai ragazzi il giusto spazio per socializzare, così da renderli meno attratti dalla tecnologia;
  • essere presenti non soltanto con il tempo, ma spendendo tempo di qualità con i figli, così da rappresentare per loro dei validi punti di riferimento.

Le altre patologie da iperconnessione

I ragazzi possono soffrire di altre patologie dovute all’eccessivo tempo speso su Internet, come il (FOMO – Fear of Missing Out), che spiega la dipendenza da smartphone e da Internet con il terrore di essere “tagliato fuori” e quindi di non essere socialmente accettato.

A questa patologia si lega la Nomofobia (deriva da no-mobile-phone), cioè la paura di rimanere senza cellulare: un vero e proprio terrore che si estende a tutti i casi in cui si si reca in luoghi dove non c’è rete.

Il 99% degli adolescenti non può fare a meno di Whatsapp, tanto che si può parlare di vera e propria dipendenza dall’app di messaggistica istantanea; ma patologie pericolosissime sono anche la “likedipendenza” o la “followermania”, che portano a considerare il numero di mi piace guadagnati sotto foto o post, e il numero di followers che ci seguono sui social come criterio per valutare la propria popolarità e, di conseguenza, la propria accettazione sociale.

La pericolosità di certi metri di giudizio è evidente, perché spinge chi è poco seguito sui social a considerarsi fallito e a perdere autostima e fiducia in sé.

Infine, non si configura nel ramo delle patologie ma è comunque uno dei rischi di Internet: parliamo delle challenge proposte sui social, che spesso invitano a comportamenti estremamente rischiosi e potenzialmente letali, e devono essere scoraggiate con ogni mezzo.

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