Nel febbraio 2017 il noto account Instagram Humans of New York – catalogo fotografico degli abitanti della città di New York nato da un’idea di Brandon Stanton – ha scelto di pubblicare la storia particolarmente toccante ed emozionante di una donna di Buenos Aires, Argentina, che ha suscitato grande clamore tra le donne di tutto il mondo.

Lo scatto fotografico ritrae una donna senza volto. Solo pochi elementi. Le gambe con ai piedi un paio di sneakers, un braccialetto al polso e una sigaretta appena accesa. Una donna come tante, in cui chiunque può identificarsi. Una donna che ha scelto di condividere la sua esperienza e ha trovato la forza di raccontare il suo aborto volontario. In Argentina, così come in tanti altri paesi, interrompere una gravidanza è tutt’oggi illegale. Un paese in cui l’aborto è giustificato solo nei casi in cui la gravidanza possa mettere in pericolo la vita o la salute della donna o qualora la gravidanza sia frutto di incesto o stupro.

Questa la sua storia:

Non volevo essere una madre. Avevo diciotto anni. Non eravamo innamorati. Avevo tanti obiettivi da realizzare. Così ho preso la decisione più difficile della mia vita. Non è legale qui. Così ho fatto una ricerca su Internet. L’ho fatto da sola. Nella mia stanza. Se le cose fossero andate male, sarei morta. Vederlo uscire fuori da me è stato il momento peggiore della mia vita. E non potevo dirlo a nessuno. Nemmeno ai miei genitori. Così ho tenuto il segreto dentro di me. Come se questo segreto fosse rimasto sempre nel mio petto, bloccato lì. Ogni giorno fingevo che fosse tutto normale. Poi di notte andavo in camera mia e piangevo”.

Parole piene di dolore. Un dolore soffocato per anni, ma mai davvero sopito. Impossibile cancellare dalla mente il ricordo di un’esperienza tanto drammatica e umanamente devastante.

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Il post è stato poi condiviso da moltissimi utenti con l’intento di porre l’accento sulla reale importanza e necessità di una legge sull’aborto che garantisca il diritto delle donne di tutto il mondo a interrompere volontariamente la gravidanza.

Nello stesso Paese sudamericano si torna ciclicamente a parlare di una legge per legalizzare l’aborto, con proposte che puntualmente finiscono con l’arenarsi. L’ultima nel 2020, quando, complice il lockdown e la pandemia di Covid-19, il disegno di legge è finito di nuovo in stallo, nonostante del presidente, eletto nel 2019, Alberto Fernández:

Lo stato deve proteggere i suoi cittadini in generale, e le donne in particolare. Nel ventunesimo secolo ogni società deve rispettare la scelta individuale di ogni persona di decidere liberamente del proprio corpo.
Presenterò un progetto di legge sull’interruzione volontaria di gravidanza che legalizzi l’aborto nel periodo iniziale e permetta alle donne di accedere al sistema sanitario nel caso in cui prendano la decisione di abortire.

Se l’aborto fosse legale ovunque, non si verificherebbero altri casi come quello della giovane donna in Argentina costretta ad abortire da sola nella sua stanza, mettendo in pericolo la sua stessa vita, senza un’adeguata consulenza da parte di personale medico qualificato che avrebbe potuto aiutarla in un momento tanto delicato. E invece no. Ha dovuto affrontare tutto da sola e come lei ogni giorno tante donne si trovano nella stessa condizione, abbandonate unicamente a se stesse.

Un episodio che ha scosso profondamente l’opinione pubblica femminile e specialmente negli Stati Uniti, dove uno dei primi atti del nuovo governo Trump è stato firmare un provvedimento che blocca i fondi federali alle Ong internazionali che praticano aborti o forniscono informazioni su questa pratica medica, e dove sempre più spesso si sente parlare di stati che vietano di fatto l’aborto.

Quello dell’aborto è da sempre un tema largamente dibattuto che continua a dividere la società. Aborto sì. Aborto no. Qualunque sia la posizione di ciascuno in merito, nessuno può condannare una donna che decide di abortire e di esercitare un suo diritto e, soprattutto, nessuno può prendere alcuna decisione in merito al corpo di una donna!

Eppure, anche in Italia, dove l’aborto è legale da oltre quarant’anni grazie all’approvazione della legge 194, da tempo si discute di un ulteriore aspetto, quello di garantire un più facile accesso all’aborto farmacologico, che in alcuni casi (eccezionali, ma esistenti) è stato persino bloccato nel Paese durante la pandemia.

Solo nell’agosto del 2020 il ministro della Salute Roberto Speranza ha fatto sapere di avere introdotto delle novità sulle modalità di gestione del farmacologico, contenute in una circolare il cui contenuto è stato poi pubblicato sul sito del Ministero.

Con le nuove Linee di indirizzo, che aggiornano quelle del 24 giugno 2010, l’aborto farmacologico è consentito fino a 63 giorni, ovvero 9 settimane compiute di età gestazionale, e può essere effettuato presso strutture ambulatoriali pubbliche adeguatamente attrezzate, funzionalmente collegate all’ospedale ed autorizzate dalla Regione, nonché consultori, oppure in regime di day hospital. Un passo estremamente importante che equipara finalmente l’Italia alla gran parte dei Paesi europei, dove l’ambulatorietà dell’intervento era già fissata da tempo.

 

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