Perché sempre più adolescenti soffrono di ansia in modo grave

Sempre più adolescenti, negli USA ma anche nel nostro paese, soffrono di ansia in modo grave. Scuola, paura di fallire, social media: le cause sono diverse, ma palesano tutte un malessere quantomai diffuso e pericoloso.

Jake è uno studente promettente, frequenta le Model United Nations, le conferenze simulate dell’ONU, è nella squadra di corsa campestre del suo liceo, dove è una matricola, ha ottimi voti e pensa già al suo futuro con molte ambizioni e tanti sogni. La sua storia è il punto di partenza per un interessante articolo del New York Times, perché, da un giorno all’altro, questo giovane del North Carolina cambia, inizia ad avere paura, a non voler più andare a scuola, si rinchiude in se stesso, in un isolamento che spaventa i genitori e che non trova spiegazione.

Cosa può essere successo a un diciassettenne pieno di speranze e di aspirazioni, che d’improvviso dice di non “poter più sopportare il peso di tutto questo”, quando con “tutto questo” si intende la vita di un qualsiasi adolescente, fatta di scuola, sport, compiti, piena di impegni, certo, ma pur sempre normale (almeno all’apparenza)?

Succede che Jake inizia a soffrire di ansia, di veri e propri attacchi di panico legati, nel suo caso, al timore di fallire. Accade quando pretendi troppo da te stesso e accettare un rifiuto, o il mancato raggiungimento di un obiettivo, non rientra tra le possibilità che ti dai. Jake voleva fare molto e riuscire egualmente in tutto, ma questo gli ha provocato un vero e proprio crollo psicologico, che lo hanno indotto all’alienazione totale per la sola paura di dover affrontare un eventuale fallimento.
Come Jake, però, sono tantissimi i ragazzi americani che soffrono di ansia, per le ragioni più disparate: a volte a incidere è il contesto sociale, altre volte la personalità che obbliga questi adolescenti a volere troppo da se stessi, altre ancora pesa, in maniera rilevante, la componente genetica e la familiarità con il disturbo, o con altre patologie simili.

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Secondo uno studio condotto da insidehighered, nell’ultimo decennio l’ansia è risultata ben più presente, fra gli adolescenti, di quanto non lo sia la depressione: l’annuale sondaggio condotto tra la popolazione giovanile dall’American College Health Association ha rilevato un forte incremento nella percentuale di ragazzi che manifestano il disturbo, con numeri che sono passati dal 50% del 2011 al 62% del 2016. Non solo, l’articolo del New York Times riporta che, già nel 1985, l’Higher Education Research Institute della U.C.L.A aveva iniziato a domandare alle matricole se si sentissero “sopraffatti dalla quantità di cose da fare”: 32 anni il 18% degli intervistati rispose di sì, nel 2010 il numero era arrivato al 29%, nel 2016 al 41%.
Del resto, secondo il National Institute of Health, l’ansia è il più comune disturbo riguardante la salute mentale negli Stati Uniti, che colpisce quasi un terzo degli adolescenti e degli adulti; ma, a differenza della depressione, cui è spesso associata, l’ansia è vista come un problema meno grave. Questo accade perché, come ha spiegato al NYT Philip Kendall, direttore della Child and Adolescent Anxiety Disorders Clinic presso la Temple University di Philadelphia, “L’ansia è facile da ignorare o da trascurare, in parte perché è possibile che tutti la abbiano, a un certo punto“.
Altre volte, invece, ci sono altre ragioni per sentirsi ansiosi; per molti giovani, infatti, soprattutto per quelli che vivono situazioni familiari caratterizzate da abusi, o in quartieri assediati dalla povertà o dalla violenza, l’ansia è una reazione razionale per rispondere alle circostanze instabili e pericolose in cui si trovano, come dimostrano i tanti ragazzi ospiti della clinica Youth Anxiety Center, nel quartiere di Washington Heights di Manhattan, che accoglie principalmente proprio i giovani più poveri, soprattutto di origine ispanica.
I timori possono essere molto reali per i nostri figli“, ha spiegato Carolina Zerrate, direttore medico della clinica. “Spesso i loro quartieri non sono sicuri, le loro strade non sono sicure e dalle loro famiglie possono avvertire una situazione di pericolo, se hanno alle spalle una storia di traumi e abusi“.
Questo non significa che gli adolescenti cresciuti in comunità più ricche e in famiglie agiate o comunque ritenute “serene” non sviluppino motivi per essere ansiosi, anzi: Suniya Luthar, professore di psicologia presso la Arizona State University, che ha studiato i meccanismi di sofferenza e resistenza sia in ragazzi agiati che in quelli considerati svantaggiati, ha scoperto che i primi sono quelli più ansiosi in America, e la loro ansia è dovuta principalmente proprio alla ricerca del perfezionismo.

Fonte: Sasha Rudensky per il New York Times

Molti ragazzi sviluppano ansia a causa dei conflitti familiari, mentre gli adolescenti con OCD, il disturbo ossessivo-compulsivo, tendono a preoccuparsi eccessivamente di quali cibi dovrebbero mangiare, delle malattie che potrebbero contrattare o di qualunque cosa accade e che possono ascoltare o leggere nei telegiornali o sui giornali durante la settimana. Stephanie Eken, psichiatra e direttore medico di uno dei centri Rogers Behavioral Health, che da anni prepara programmi ambulatoriali per ragazzi che soffrono di ansia in tutto il paese, oltre a predisporre di un programma ospedaliero nel Wisconsin, ha detto al NYT che negli ultimi anni ha visto un numero crescente di bambini e ragazzi che si preoccupano per il terrorismo.Si chiedono se sia sicuro andare in un teatro“, ha spiegato.
Infine, c’è, come abbiamo anticipato, la componente genetica: molte ricerche hanno rivelato che ci sono geni ereditari che predispongono i bambini a manifestare un disturbo d’ansia, e diversi studi hanno trovato che una figura genitoriale oppressiva o troppo ansiosa possa generare a sua volta ansia e avversione al rischio nei bambini.
Negli Stati Uniti aumenta, di pari passo alle crescenti percentuali dei ragazzi ansiosi, anche il numero di centri dedicati appunto alla cura di questi disturbi mentali, e uno dei più prestigiosi è il Mountain Valley nel New Hampshire, per cui sono necessari 950 dollari al giorno. Il centro ospita ragazzi da tutto il paese che soffrono di ansia sociale, ansia da separazione, di disturbo post-traumatico e di disturbo ossessivo-compulsivo, e le cure proposte spaziano dall’analisi, alle sedute di gruppo, fino ad attività pratiche come laboratori artistici o equino-terapia.
Fra gli ospiti del centro, ci sono proprio Jake e Jillian.

Jake, il terrore del fallimento

Fonte: Sasha Rudensky per il New York Times

Jake era stato portato da un terapeuta da bambino, per la paura di dormire da solo, ma a 17 anni, d’improvviso, ha iniziato a rifiutare di andare a scuola, urlando di non riuscire a farcela e che i suoi genitori non capivano.
Allarmati dal comportamento del figlio, i genitori di Jake lo hanno mandato dal suo medico di base, che gli ha prescritto Prozac, un antidepressivo spesso dato agli adolescenti ansiosi. Era il primo di molti farmaci che Jake avrebeb provato nell’anno successivo. Ma nessuno sembrava funzionare, anzi, alcuni hanno peggiorato una situazione già pessima. Un aumento del dosaggio ha reso Jake “molto più eccitato, agitato stranamente e quasi maniacale“, ha scritto suo padre in un diario nell’autunno del 2015. Poche settimane dopo Jake si è chiuso in bagno a casa, e ha cercato di affogarsi nella vasca da bagno.
È stato ricoverato in ospedale per quattro giorni, ma subito dopo essere tornato a casa,ha iniziato di nuovo a chiudersi nella sua stanza, piangendo, dormendo, rifiutando di tornare a scuola. Ma il mancare da scuola lo faceva al contempo sentire sempre più ansioso, in un circolo vizioso che lo rendeva depresso e con la sensazione di non avere speranze. Il ragazzo che voleva andare all’Università del North Carolina a Chapel Hill si sentiva perso.
Anche dopo il ritorno a scuola, non c’ è stato giorno in cui Jake non chiamasse la madre per farsi venire a prendere o farsi ricoverati in infermeria, e tentò nuovamente il suicidio. Alla fine, i suoi genitori decisero di mandarlo a Mountain Valley, dove Jake ha appreso tecniche di consapevolezza, ha partecipato a sedute di equino-terapia e ai laboratori di arte e, soprattutto, è stato impegnato nella terapia dell’esposizione, un trattamento che espone in modo incrementale le persone a ciò che temono. I terapeuti hanno capito rapidamente che Jake temeva soprattutto il fallimento, perciò hanno inventato un certo numero di esercizi per aiutarlo a imparare a tollerare disturbi e imperfezioni. Ad esempio, in un test tenuto al Dartmouth College, il terapeuta di Jake gli ha suggerito di iniziare delle conversazioni con gli sconosciuti, dicendo loro che non aveva i voti per entrare in scuola. Il processo di candidatura all’università era una fonte di particolare ansia per Jake, e la speranza dei dottori era che avrebbe imparato che poteva parlare del college senza buttarsi giù, e che il suo valore come persona non dipendeva da dove sarebbe andato a scuola.
Adesso Jake sta lentamente tornando alla normalità, non è del tutto guarito ma inizia a rispondere nella maniera adeguata agli attacchi d’ansia. Un week-end ha dovuto lasciare una conferenza del Model United Nations in seguito a un attacco d’ansia “Questo è stato davvero scoraggiante – ha detto – ma adesso ho imparato a lottare, e la crisi non dura a lungo“.

Jillian e la paura di essere “nessuno”

Fonte: Sasha Rudensky per il New York Times

Jillian, 16 anni, quando non era sopraffatta dall’ansia si presentava come una piccola adulta, posata e matura, molto equilibrata. È andata a Mountain Valley dopo aver frequentato la scuola a intermittenza negli ultimi due anni. Ha sofferto di ansia sociale peggiorata dal cyberbullismo dei compagni di classe, e di emetofobia, la paura di vomitare che può influenzare moltissimo la vita sociale delle persone, limitandole in ciò che mangiano e imponendo loro di non uscire di casa, per non incontrare qualcuno che possa contagiarle.

L’ansia di Jillian nasceva anche dal fatto di sentirsi insignificante.
“Non posso credere quanto Jillian sia insignificante”, “Voglio dire, per le prime tre settimane, pensavo che il suo nome fosse Susan”, “Se se se ne andasse domani, forse non ce ne accorgeremmo neppure”, queste erano le insicurezza maggiori della ragazzina, rivelate durante uno degli incontri al Mountain Valley, tenuti dalla terapista Sharon McCallie-Steller.
Il cyberbullismo ha avuto una parte essenziale nello sviluppo della sua ansia; alle scuole medie, Jillian si era iscritta ad ASKfm, un sito di social networking, e le frasi che trovava spesso nel suo profilo erano soprattutto attacchi gratuiti alla sua persona, frasi come “Ucciditi“. Nemmeno alla scuola secondaria privata in cui è stata mandata affinché le cose migliorassero Jillian è riuscita a superare il problema: continuava a non sentirsi a proprio agio, nonostante ci fossero molti altri ragazzi affetti da disturbi simili al suo.
La madre di Jillian, Allison, non riesce tuttora a comprendere quale sia il modo migliore per stare vicino alla figlia. “La domanda da un milione di dollari quando si cresce un figlio con questo genere di disturbi– ha detto al NYT – è: ‘Quando devi spingerlo a superare i suoi timori, per aiutarlo, e quando invece la tua attenzione non fa che aumentare la sua sensazione di ansia e panico?'”.
Sebbene Jillian sia uscita da Mountain Valley come una persona più fiduciosa e con l’emetofobia in gran parte sotto controllo, il trattamento non ha risolto del tutto la sua ansia generata dalla frequenza scolastica. Le sue lotte con la madre per non andare a scuola sono diventate sempre più insostenibili, mentre la donna aveva speso buona parte dei risparmi per permetterle di andare al Mountain Valley; alla fine, Allison ha concesso alla figlia di studiare per il G.E.D., il General Educational Development, la certificazione equiparata, negli USA Ee in Canada, alla frequentazione scolastica, ma non è affatto felice. Per lei è come se la figlia avesse lasciato vincere l’ansia.

I social media

Fonte: Sasha Rudensky per il New York Times

Legato al tema del cyberbullismo, ovviamente fra le maggiori cause di ansia per i ragazzi oggi ci sono i social media. La dipendenza dai social network, l’ansia di piacere agli amici, di avere molte conoscenze virtuali e molti like induce i ragazzi a una continua lotta con se stessi, verso il raggiungimento di una perfezione impossibile da ottenere e condizionata, inevitabilmente, anche dalle immagini da cui sono bombardati continuamente. “Non credo ci rendiamo conto di quanto stiano coinvolgendo i nostri stati d’animo e le nostre personalità  – ha detto un ragazzo ospite del Mountain Valley “I social media sono uno strumento, ma sono diventati una dipendenza, qualcosa che ci rende pazzi. Al liceo, io continuavo a giudicare la mia immagine per com’era online, e pensavo ‘Oh, no, le persone non mi vorranno vedere sulla loro bacheca?“.
In uno workshop dedicato ai genitori, organizzato dal NW Anxiety Institute di Porland, in Oregon, Kevin Ashworth, direttore clinico, ha avvertito mamme e papà circa “l’illusione del controllo e della certezza” offerti ai giovani ansiosi dagli smartphone. “Gli adolescenti andranno in luoghi in cui sanno tutto ciò che accadrà, se conosceranno tutti coloro che saranno lì, se possono vedere chi è in linea“, Ashworth ha spiegato ai genitori. “Ma la vita non offre sempre questo tipo di certezze, e in questo modo loro non saranno mai capaci di affrontare una situazione sociale sconosciuta o scomoda, comprendendo che possono sopravvivere“.

Jean Twenge, professoressa di psicologia presso l’Università di Stato di San Diego, che analizza le differenze psichiche tra le diverse generazioni di adolescenti, era scettica rispetto alla responsabilità dei social media circa l’aumento dell’ansia giovanile: “Sembrava troppo facile una spiegazione collegare Internet ai disturbi mentali giovanili – ha detto – e non c’erano prove a riguardo.” Twenge ha cercato altre possibili spiegazioni, comprese quelle economiche, ma la linea temporale del picco di adolescenti ansiosi e depressi dal 2011, che lei ha definito “uno dei più nitidi e più significativi mai visti”, non mostra corrispondenze con il profilo economico, che in quel periodo era, a dir la verità, in incremento.

Gli strumenti a disposizione

Fonte: Sasha Rudensky per il New York Times

Negli USA si cerca di rispondere all’ansia giovanile in diversi modi, ad esempio tramite i cosiddetti “piani 504”, strumenti educativi popolari che prevedono di personalizzare il percorso scolastico degli studenti con problemi di natura psicologica, permettendo loro un approccio diverso all’ambiente scolastico stesso.
Ma questi piani, afferma lo psicoterapeuta Lynn Lions, insegnano a ragazzi solo “ad evadere dai problemi, non ad avere abilità e strumenti per contrastarli”. Ha portato l’esempio di uno studente cui è permesso di lasciare l’aula ogni volta che si sente sopraffatto. “Spesso – dice Lions – un adolescente può andare dove vuole e rimanere lì per tutto il tempo di cui pensa di aver bisogno; invece, una scuola dovrebbe mettere a disposizione dello studente un consulente,da o un’infermiera che lo aiuti a esternalizzare la sua preoccupazione, prima di tornare in classe il più presto possibile“.

Se l’ansia potesse parlare, direbbe: ‘Lasciatemi uscire!’ Ma per riqualificare il cervello, per creare quel messaggio che dice che, anche se sono a disagio, posso farcela, dobbiamo smettere di trattare questi ragazz ansiosi come se potessero spezzarsi e non fossero in grado di gestire le cose.

Alcune scuole hanno intrapreso misure drastiche per accogliere quello che un amministratore ha chiamato “i nostri studenti più fragili”. Nella Roxbury High School di Roxbury Township, nel New Jersey, ci sono due aule dedicate per adolescenti ansiosi. “Alcuni diranno che questo alimenta il mostro – afferma Patricia Hovey, direttore dei servizi speciali della Roxbury High – Ma devi cominciare dal punto in cui stanno i ragazzi, non dove sei tu o dove vuoi che siano. Dobbiamo portarli nell’edificio. Molti dei nostri studenti semplicemente non vengono a scuola se devono trascorrere tutto il giorno ad ascoltare ‘lezioni di educazione generale’. Una volta che gli studenti sono a scuola, i membri del personale possono aiutarli a costruire la fiducia e le competenze necessarie per passare alle classi regolari della Roxbury“.

Questo è il quadro generale che si presenta negli Stati uniti, ma in Italia quanti sono i ragazzi che soffrono di disturbi d’ansia?

I ragazzi che soffrono d’ansia in Italia

Fonte: Sasha Rudensky per il New York Times

Secondo uno studio Oecd (Students’ Well-Being: Pisa 2015 Results) gli studenti italiani si dichiarano, al 70%, ansiosi, rispetto a una media Ocse del 55%. In Germania, per fare un esempio, la media si ferma al 41%. Nel caso italiano, però, a preoccupare è soprattutto l’ansia da prestazione e il timore dei voti bassi, non il desiderio di primeggiare che, secondo i dati raccolti, interessa “solo ” il 52% dei ragazzi, contro una media Ocse del 60%, aumentata in paesi come Norvegia, Canada e Grecia.

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