Se ne parla ogni volta che il brand di turno promuove la nuova, furba campagna bodypositive con la modella più che in carne o sbarca sul web l’ennesimo progetto fotografico che sembra celebrare la bellezza di un modello di donna obesa. La mia amica se la ride, ma chiaramente è incazzata: “Mi vedi? Sono grassa. E anche loro lo sono. Se qualcuno mi dicesse sei curvy, giuro, io mi offenderei un sacco e penserei che mi sta pigliando per il culo”.

Se una persona grassa sostiene la “grassezza” di altre donne come lei è bodyshaming o sta solo chiamando le cose con il loro nome? Non lo so, quello che so è che ci stiamo addentrando nel territorio minato di qualcosa che non è politically correct, ma forse vale la pena parlarne, una volta tanto, usando le parole per quello che sono, senza dietrologie e pudori da educande. 
Sul web e fuori capita sempre più spesso di leggere o sentire donne che definiscono curvy la loro obesità o quella, per esempio, delle proprie figlie, incitandosi e incitandole ad amarsi per quello che si è, il che vuol dire, secondo alcune, anche perpetrare stili di vita e alimentari insalubri con la scusa di “godersi la vita” perché, dicono loro, “le donne che mangiano sono più felici”, “meglio un po’ rotondette che anoressiche” o “le curve sono più sexy delle ossa”.

A parte il fatto che se chi di bodyshaming colpisce, poi un’esame di coscienza dovrebbe farselo se di bodyshaming perisce, visto che non è vero che una donna magra è automaticamente triste, paranoica del cibo o poco attraente. Combattere uno stereotipo – la modella taglia 38 – con un altro stereotipo – la sexy donna burrosa – è un pessimo modo di dare valore a una battaglia.
Chiamiamo, per favore, le cose con il loro nome. Esistono donne curvy o, più onestamente, proprio grasse che conducono stili di vita sani e si prendono cura di sé stesse: ed è ora che ne prendano atto tutti, a partire dai media che, continuano a propinarci l’idea della donna grassa, sfigata, indesiderabile… Che poi magari qualcuno, chissà come, sceglierà di amare per il suo buon cuore.
Ma esistono anche le donne, gli uomini, i bambini obesi, per uno stile di vita altamente rischioso e il movimento bodypositive non può diventare l’alibi per non prendere coscienza del fatto che l’obesità è una malattia che sta diventando una piaga e merita di non essere sottovalutata.

Un bambino su tre oggi è obeso (fonte: Sole 24 Ore), lo dicono i dati ma, per appurarlo, basterebbe assistere all’uscita da una qualsiasi scuola.
Ora la maggior parte di noi sopra i 30 anni avrà avuto quanti compagni di classe obesi? 1, 2, massimo 3, comunque una netta minoranza probabilmente.
Che la situazione sia critica è evidente. Uno studio pubblicato da The Lancet e riportato dall’OMS in occasione della Giornata Mondiale contro l’Obesità 2107 fornisce dati agghiaccianti

Nel 2016 c’erano 50 milioni di ragazze e 74 milioni di ragazzi con obesità nel mondo, mentre il numero globale di ragazze e ragazzi moderatamente o gravemente sottopeso era rispettivamente di 75 milioni e 117 milioni.

Il numero di adulti obesi è aumentato da 100 milioni nel 1975 (69 milioni di donne, 31 milioni di uomini) a 671 milioni nel 2016 (390 milioni di donne, 281 milioni di uomini). Altri 1,3 miliardi di adulti erano in sovrappeso, ma sono scesi sotto la soglia per l’obesità.

e una previsione inquietante:

Nel 2022, se non si inverte la tendenza post 2000, nel mondo ci saranno più bambini e adolescenti obesi che sottopeso.

Possiamo leggerla come una buona notizia rispetto ai numeri ancora troppo elevati di bambini sottopeso, soprattutto nei Paesi del Terzo Mondo, ma è solo il rovescio della medaglia di una situazione altrettanto preoccupante. Praticamente ci stanno dicendo che i bambini del futuro non moriranno di fame, ma di troppo cibo spazzatura e stili di vita errati. Succede già, del resto.

Il rapporto SOFI pubblicato a maggio 2018 dalla FAO ha chiarito ulteriormente la questione, parlando di 640 milioni di adulti obesi e 40,6 milioni di bambini sovrappeso nel mondo. Il problema di obesità più grave è in Nord America, Europa e Oceania, dove il 28% degli adulti è classificato come obeso, mentre in Asia si attesta al 7% e in Africa all’11%. Ma è anche interessante, e allo stesso tempo grave, notare come, propri nei paesi a forte prevalenza di denutrizione si stia diffondendo rapidamente il fenomeno dell’obesità, conseguenza inevitabile della globalizzazione del junk food a basso prezzo, che porta con sé tassi mai visti di diabete fra la popolazione dell’Africa Subsahariana. Il motivo è presto spiegato: quando ci sono risorse insufficienti e scarsità di mezzi per garantire un’alimentazione sana, è più facile fare ricorso ad alimenti meno salutari, che possono essere a lungo andare causa di sovrappeso e obesità. La doppia morsa in cui sono stretti molti paesi a basso e medio reddito è terribile con, da un lato, alti livelli di malnutrizione e prevalenza di malattie infettive e trasmissibili, dall’altra un aumento della prevalenza di persone in sovrappeso e obese, con impatti importanti in termini di incidenza di malattie croniche.

Cosa c’entra la questione curvy e la battaglia contro il body shaming? Nulla, se si affrontano le due tematiche in modo consapevole.
Ma c’entra se le mamme di bambini obesi danno l’ennesima merendina ipercalorica ai loro piccoli da loro definiti “curvy”, con quel retaggio da “meglio in carne che stecchetto: è sinonimo di salute”, che ha senso giusto se a dirlo sono i bisnonni che, capirai, in tempi di guerra hanno fatto la fame.
Quando il termine curvy fu coniato – e Vogue inaugurò la sua sezione Vogue curvy – identificava quel tipo di donna, non malato ma realistico, che indossa dalla taglia 42 in su, praticamente la maggior parte di noi, e non è stato certo per rivendicare un “orgoglio obeso”.
Semmai rivendicava l’orgoglio di essere finalmente noi stesse e considerate per questo, anche quando non siamo abbastanza magre per un modello ormai obsoleto, anche quando il nostro metabolismo non ci assiste come fa con la nostra amica che mangia di tutto e non mette un chilo, anche con le nostre smagliature, le maniglie dell’amore e la pancetta che c’è anche quando siamo in piedi, figuriamoci se rientra quando ci sediamo.
L'”orgoglio curvy” celebra la bellezza di noi donne non photoshoppate sulle copertine di un rotocalco o sull’ultimo post Instagram e dà finalmente dignità ai nostri corpi non perfetti, ma veri.

Questo significa essere body positive: smetterla di correre dietro a qualsiasi costo a una taglia, a un ideale ed essere responsabili di noi stesse. Il che, attenzione, può voler dire magra, molto magra, normopeso, curvy e persino obesa. Senza che gli altri ci disprezzino o ci classifichino per questo.
Cosa c’è di così orribile nei rotolini e nelle nostre smagliature? Perché disprezzare la ragazza con la pancia piatta e la taglia 38 (perché anche questo è bodyshaming e bullismo, non solo quello nei confronti di una persona “tanta”).
Una persona obesa, del resto, è forse sbagliata, è forse una persona che non può volersi bene o da disprezzare?
No, non è niente di tutto ciò. Una persona malata di diabete, depressione, endometriosi o qualsiasi altra malattia non è sbagliata e può, anzi deve, amarsi e sentirsi amata. Allo stesso modo una persona obesa.
Perché l’obesità, ricordiamocelo, è una malattia, cui possiamo applicare, come in tutti gli altri casi, la body positivity, che passa non per l’orgoglio di appartenere a una fazione, ma per il rispetto e la cura di sé.

Non sarà un aggettivo a definirci se non saremo noi a lasciarglielo fare.
Perché se è vero che si può essere curvy o persino obesa nonostante uno stile di vita sano, è vero anche che si può essere normopeso o magra per merito o, spesso, nonostante le peggiori abitudini alimentari, senza per questo dover diventare, in un caso o in un altro, la bandiera, prontamente strumentalizzata dai media, della fazione “grasso è bello” o “solo magro lo è”. 
In entrambi i casi passa un messaggio populista e sbagliato e l’unico body positivity possibile è quello di chi si ama e si prende cura di sé, per piacersi, per piacere, ma soprattutto per stare bene. A prescindere dalla taglia, dai chili segnati dalla bilancia e da stereotipi vari di cui, francamente, è ora di liberarci.

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