La lezione delle "disabilità invisibili" agli occhi in 5 storie

Si può essere "più o meno disabili"? No, ma le disabilità invisibili sono senza dubbio esposte ai giudizi e alle critiche di chi non conosce alcune malattie che, anche se non percepibili visivamente, lasciano in chi ne soffre lo stesso vissuto di dolore. Le storie di queste persone dimostrano che chi ha una disabilità non evidente non è "meno disabile".

Spesso pensiamo, erroneamente, che le disabilità siano solo quelle fisiche, o, per meglio dire, quelle che riusciamo a percepire con gli occhi. Una persona in carrozzina, un non vedente accompagnato dal suo cane guida, qualcuno a cui siano state amputate gambe o braccia.

Ma la disabilità ha molte forme e molte facce, talvolta le stesse facce che noi vediamo sorridere abitualmente, quando le incontriamo al bar prima di andare al lavoro, o al supermercato mentre facciamo la spesa, e che ci danno l’idea di essere così piene di vita, a posto… normali. Può sembrare brutto, e anche un po’ crudo, metterla così, fare una distinzione netta e precisa fra ciò che riteniamo “normale”, appunto, contro quello che invece è palesemente “eccezionale”; eppure, il nostro schema mentale è spesso portato a banalizzare così la faccenda, operando una riduzione sin troppo semplicistica che si basa esclusivamente su quello che il nostro occhio vede, non su una vera conoscenza. Già, la disabilità non è solo quella, prepotentemente esplicita, che si vede, spesso non ti viene sbattuta in faccia perché non ha segni evidenti, ma c’è, e non è meno disabilità delle altre.

Stomia, colite ulcerosa, morbo di Crohn, ipovisione, sono alcune delle disabilità invisibili che, straordinariamente, possono anche assumere il valore di un’incredibile metafora dei rapporti umani in generale, dove spesso non sappiamo cosa si nasconda dietro l’apparenza, fisica ed emotiva, delle persone che incontriamo, eppure siamo rapidi nell’emettere giudizi, battute, sentenze e, perché no, condanne. Le storie che abbiamo raccolto in questo articolo sono testimonianze di persone, normali, che convivono con una disabilità non vista e non avvertita palesemente dalla gente, ma non per questo meno presente in loro, o portatrice di minor sofferenza.

Io non sono meno disabile degli altri

La prima testimonianza appartiene a Lila Madrigali, che su disabili.com ha riassunto quanto abbiamo introdotto finora: chi ha una disabilità invisibile non è meno disabile degli altri.

Il cassiere mi guarda stranito: il giorno prima mi vede girare nel supermercato in carrozzina ed il giorno dopo mi ritrova a camminare fra gli scaffali con le stampelle, claudicando sì, ma comunque in piedi. ‘Ma non eri in sedia a rotelle? Com’è questa storia?’.
Oltre a dimostrare ben poco tatto ed ancor meno sensibilità, la sensazione che il cassiere mi fa provare è molto, molto dolorosa: mi sento giudicata su qualcosa che dovrebbe essere solo relativa alla mia sfera privata ed intima“.

Lila, infatti, è malata, ha un problema alle articolazioni che, tuttavia, le permette talvolta di non usare sempre la carrozzina; ma è disabile, e quel che dice quel cassiere la ferisce.

Non tutte le malattie si mostrano al mondo con un decadimento fisico o necessitano dell’uso di ausili, ma in questo nostro mondo che vive di etichette qualcosa che non è possibile classificare a colpo d’occhio è causa di dubbio.

“Si sta male due volte, e la seconda è un dolore gratuito che potrebbe essere evitabile se solo non fosse abitudine comune utilizzare il giudizio nell’affrontare gli altri. Penso alle malattie che non si manifestano sul piano prettamente estetico: quella persona è sul posto giallo, ha un pass auto come il mio, eppure non appare diversamente abile. Proprio quest’apparenza è la sua condanna, la fonte di un problema che varrebbe la pena affrontare per fugare molti dubbi. Restiamo perplessi di fronte a ciò che appare come un utilizzo fraudolento del contrassegno per disabili ad esempio, ma ci soffermiamo a pensare che l’utilizzatore potrebbe aver diritto a quel pass pur non mostrando la sua malattia? Il fatto che ci sia una sedia a rotelle disegnata sul contrassegno non prevede che sia destinato soltanto a chi si muove con le ruote, cosa ovvia ma non troppo, a quanto pare.

L’essere costantemente esposta a un giudizio, a una critica, alla perplessità della gente le causa molto dolore, come spiega: “Il malato invisibile è costretto a giustificarsi e a spiegare che cosa gli accade, vedendo costantemente messa in dubbio la propria credibilità; è qualcosa che porta grande disagio e lo costringe a vestirsi di umiliazione. Un vestito che nessuno di noi vorrebbe indossare. Spesso sono le famiglie a doversi scontrare con questa problematica di giudizio: ‘Ma tua figlia sembra perfettamente normale, non sembra malata!’ Una frase che taglia più di una coltellata, che aggrava la malattia e che spesso dà il via ad una spirale negativa difficile da fermare”.

Il campione ipovedente

Fonte: web

Fabrizio Sottile è un bellissimo ragazzo, ha un fisico scultoreo, da nuotatore, il sorriso sempre sulle labbra, ma è ipovedente. Fabrizio, che ha partecipato anche alle Paralimpiadi di Londra del 2012, è affetto da una rara patologia di origine genetica, con un nome sconosciuto quasi quanto è raro il suo insorgere: si chiama Neuropatia Ottica di Leber, LHON in inglese, ed è una delle disabilità invisibili cui gli altri fanno fatica a credere. Anche perché la sua natura è particolare, può persino regredire, seppur in minima parte, oppure, nel caso di peggioramento, assumere l’aspetto di una macchia scura o chiara, originata dal centro del campo visivo e che caratterizza un’atrofia del nervo ottico.
Valerio Carelli, dell’Istituto delle Scienze Neurologiche, Ospedale Bellaria, dipartimento di scienze biomediche e neuromotorie dell’Università di Bologna, spiega al Corriere: “Nelle persone che sviluppano la LHON le fibre nervose degenerano progressivamente fino a morire del tutto. Ci sono pazienti con una degenerazione più grave, che sono quasi del tutto ciechi e vedono solo luci ed ombre, e altri che non vedono ciò che si trova davanti a loro, al centro del campo visivo, ma che mantengono la visione del campo periferico“.

La cura non c’è, la disabilità invece si. Anche se la gente fatica a crederlo e continua a domandare “Ma davvero non ci vedi?”.

Il progetto di Chiara De Marchi e l’idea partita da Brescia

La fotografa Chiara De Marchi ha dato il via al progetto Invisible Body Disabilities, proprio per portare alla luce le storie di chi ha una patologia che causa disabilità, seppur invisibile. Lei stessa soffre di colite ulcerosa dal 2009, e partendo dalla propria esperienza di malata invisibile ha scelto di fotografare e raccogliere le testimonianze di altre donne, ragazze e uomini che non vengono giudicati disabili dalla società perché non aventi un handicap evidente e visibile.

Proprio partendo dal progetto di Chiara, il 21 novembre 2017 la Federazione delle Associazioni Incontinenti e Stomizzati ha lanciato, dal palazzo della Loggia di Brescia, l’iniziativa di un adesivo che riporta il nome del progetto della fotografa, al fine di sensibilizzare le persone sulle necessità delle persone con stomia, anche nell’utilizzo dei bagni pubblici. ” La fonte d’ispirazione di questo progetto – ha spiegato la dottoressa Danila Maculotti, infermiera stomaterapista in Fondazione Poliambulanza – si chiama Grace Warnock, una bambina scozzese che a soli undici anni ha creato un simbolo da porre nei bagni, che include sia una persona sulla sedia a rotelle che una persona in piedi con un cuore, come simbolo per le persone con una condizione invisibile, cioè che apparentemente non si vede. Molte persone con stomia, hanno avuto problemi ad uscire fuori dalle proprie case perché non trovavano un bagno accessibile, dovevano sopportare i giudizi delle persone estranee quando utilizzavano bagni pubblici per disabili o giustificarsi spiegando il motivo per cui utilizzassero tali servizi“.

Edoardo con la dottoressa Maculotti mentre appongono l’adesivo fuori dalla toilette del Comune di Brescia (Fonte. fais.it)

Il progetto, che ha preso ufficialmente il via quando il tredicenne Edoardo, stomizzato, ha apposto il primo adesivo sulla porta di un bagno pubblico del Comune di Brescia, si focalizza dunque proprio sul tema dell’accesso ai servizi igienici, che rappresenta per la persona stomizzata il primo passo per il raggiungimento di una qualità di vita dignitosa, libera dai giudizi di chi, non vedendo la disabilità, critica queste persone per il troppo tempo speso alla toilette.

Serena e la sua “Tina”

Fonte: facebook @invisible body project

Serena è una delle ragazze che hanno accettato di prendere parte al progetto di Chiara De Marchi. Quella che lei chiama Tina è la colite ulcerosa, la malattia invisibile con cui convive da circa tre anni.  Appena ventenne, non è stato facile per lei accettarla, accettare i ritmi dettati dalla malattia, il dolore, la fatica, l’insonnia, i farmaci. Ma, nonostante tutto, con la malattia Serena ha stabilito quasi un rapporto di “amicizia”, e quel suo chiamarla con un nome proprio, Tina, è dovuto alla maggiore consapevolezza di sé e alla forza che la colite ulcerosa le ha donato. Soprattutto nei confronti di chi continua a giudicare senza comprendere

Quanto si cela dietro un sorriso? Quanto vale sentirsi sbagliati e nasconderlo dietro un sorriso?
L’espressione sconfitta di fronte ai valori che non ne vogliono sapere di salire.
Tre anni senza remissione, tre anni in cui non sono sola grazie alla compagnia di Tina, nonostante io sappia di lei da un anno.
Tina è la mia pancolite ulcerosa.
Tina è ciò che mi spinge a sorridere, sempre.
La maledico e la ringrazio ogni giorno.
Mi ha insegnato a godere e gioire di ogni attimo, mi ha insegnato a non lasciarmi sfuggire le occasioni, mi ha insegnato il valore della vita.
Tina mi ha mostrato cos’è il potere di una carezza e quanto faccia male la gente che ti volta le spalle, quanto in realtà sia misera”.

Martina, l’imbarazzo per la sua malattia

Fonte: facebook @invisible body project

Uscivo raramente di casa, mi vergognavo di questa condizione, odiavo prendere dodici pastiglie al giorno, ma soprattutto mi sentivo come un grande peso per la mia famiglia e per chi mi stava accanto” racconta Martina sulla pagina Facebook del progetto Invisibile Body Disabilities. “Dare preoccupazioni, obbligare i miei genitori a tornare prima dal lavoro perché stavo male, farmi venire a trovare in ospedale: questo è ciò che mi ha sempre fatto stare peggio.

Ho avuto momenti di depressione davvero forti, e l’unica cosa che mi faceva andare avanti era l’amore. L’amore per i miei cari, l’amore che hanno nei miei confronti e l’amore per la vita. Anche se a volte sembrava davvero impossibile, non mi sono mai arresa, ho messo tutta me stessa per andare avanti con sguardo positivo al futuro.

Ed anche ora è così: mi sono iscritta all’università, e con la speranza di tornare a stare bene dopo l’operazione, sono convinta che riuscirò a sconfiggere questo brutto mostro“.

A Martina è stato diagnosticato il morbo di Crohn, una malattia infiammatoria cronica dell’intestino che può colpire qualsiasi parte del tratto gastrointestinale, causando principalmente dolori addominali, diarrea, vomito o perdita di peso, ma interessare anche altri organi e apparati, provocando artriti, eruzioni cutanee, o facendo perennemente avvertire la sensazione di stanchezza.

Le storie di queste persone raccontano di una disabilità “diversa”, perché non visibile. Eppure, non meno importante. Chi si ostina a giudicare chi soffre di qualcosa che non si percepisce con gli occhi, chi critica pur non sapendo, ignorando la sofferenza di chi cerca solamente una vita normale… forse anche loro soffrono di cecità, quella che non permette davvero di vedere al di là del proprio naso.

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