Ecco cosa significa vivere con il disturbo bipolare

Il disturbo bipolare è una condizione di instabilità dell'umore che alterna episodi maniacali a stati di depressione profonda. Vediamo nell'articolo come questa condizione influenzi la vita di tutti i giorni attraverso la testimonianza di sei persone che ne sono affette.

Il disturbo bipolare è una condizione di salute mentale che altera gli stati d’animo facendoli oscillare dalla maniacalità allo stato depressivo più profondo per periodi che variano da poche settimane a molti mesi. Questo modo di essere influisce inevitabilmente sulla vita di tutti i giorni rendendo particolarmente difficile lo svolgimento della propria professione, le relazioni personali e quelle familiari. Esso, come altre sindromi affini, fa parte dei disturbi psichici i quali possono gravare in modo più o meno incisivo sulla vita delle persone: uno fra questi è il DOC, il disturbo ossessivo compulsivo con il quale è difficile convivere, anche in amore, come ci spiega un poeta in questo video:

Per capire meglio come il disturbo bipolare incida profondamente sulla vita delle persone che ne soffrono vi proponiamo la traduzione dell’articolo “Sei persone vi raccontano cosa significa vivere con il disturbo bipolare” scritto da Hattie Gladwell, la quale non affronta l’argomento in termini medici ma, essendone affetta, ne dà la propria testimonianza riportando anche le esperienze di altre sei persone che ne soffrono.

Nel suo articolo Hattie racconta che il suo stato d’animo a volte cambia nel giro di poche settimane a volte invece vive uno stato di stabilità che reputa più o meno “normale” per periodi più lunghi che durano anche mesi. Alterna momenti di euforia, eccitamento e irrequietezza in cui fa cose estreme che non appartengono alla sua personalità, come cambiare radicalmente il proprio aspetto, fare acquisti compulsivi o atti irresponsabili e soffrire di insonnia, a momenti di stati depressivi in cui prevalgono apatia e disinteresse per tutto ciò che la circonda con un alto rischio di pensieri suicidi.

Per gestire questa situazione di instabilità emotiva Hattie si fa seguire sia dal suo medico di famiglia che da uno psichiatra, dato che il bipolarismo è una condizione estremamente difficile da affrontare. Lei è affetta da disturbo bipolare di tipo 1, quello in cui sono maggiori gli stati di depressione rispetto a quelli maniacali, rispetto al disturbo bipolare di tipo 2 in cui invece gli stati maniacali superano quelli depressivi.
Oltre al trattamento medico è molto importante anche avere una rete di sostegno per non sentirsi soli a combattere contro questo difficile stato emotivo.

Nel suo articolo Hattie ha contattato e intervistato sei persone affette da disturbo bipolare per confrontarsi con loro e mostrare come convivono con questo problema invalidante giorno per giorno.

Gli intervistati sono:
– Lydia Charis, studente universitario 31enne di Trowbridge nel Wiltshire;
– Jon, attore professionista 65enne di Birmingham, che vive però a Bedford;
– Beth, operatore socio sanitario 24enne, di Birmingham;
– Daniel, 25enne di Southampton;
– Hannah, lavoratrice autonoma 44enne madre di quattro figli di West Sussex;
– Rich, 21enne attualmente in congedo per malattia, di Leicester.

1. Quando ti è stato diagnosticato il disturbo bipolare e che iter medico hai intrapreso per la diagnosi?

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Lydia: «Mi è stato diagnosticato da 4 mesi dopo l’ennesimo episodio di forte depressione. Durante la visita insieme al mio medico di base abbiamo analizzato i miei stati d’animo vedendo chiaramente un alternarsi ciclico di stati emotivi altalenanti durati anni. Ho un disturbo bipolare di tipo 2».

Jon: «Mi è stato diagnosticato 10 anni fa da un brillante psichiatra forense. Ci sono voluti 40 anni. Ho distrutto la mia famiglia e mi sono alienato da tutti i miei amici. Sono stato internato tante di quelle volte che non posso ricordarmele tutte e trovavo divertimento a eludere le domande che mi venivano poste. È stata poi la paura di perdere la mia compagna a farmi rispondere correttamente e collaborare e il sig. Jayalath ha esaminato tutta la mia storia clinica. Sono affetto da disturbo bipolare di tipo 1 con stati misti che si presentano in brevi periodi e disturbo borderline della personalità».

Hannah: «Mi è stata diagnosticata nel 1996 come sindrome maniaco depressiva e successivamente nel 2011 come disturbo bipolare.»

Daniel: «Mi è stato diagnosticato il disturbo bipolare di tipo 1 quando avevo 14 anni da uno psicologo della polizia.»

Rich: «Mi è stato diagnosticato un disturbo bipolare di tipo 2 dopo che mi sono fatto visitare da uno psichiatra».

Beth: «Me lo hanno diagnosticato a giugno dello scorso anno. Sono stata ricoverata a dicembre, in cui ho avuto un episodio depressivo durato fino a maggio quando si è poi trasformato in stato maniacale per 3 settimane. A quel punto è stato facile dedurre che fossi affetta da sindrome bipolare di tipo 1».

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2. Come hai reagito alla tua diagnosi? Ti preoccupa? Ti influenza in qualche modo?

Lydia: «Non sono preoccupata, in fondo ho gestito il disturbo bipolare da anni, la differenza è che ora so cos’è, gli posso dare un nome e conosco la causa “reale” per i miei comportamenti. A volte mi sento fragile quando mi rendo conto che questa condizione durerà tutta la vita, è scoraggiante pensare che non risolverò mai del tutto questa situazione».

Jon: «Avere la diagnosi è un’arma a doppio taglio: è stato allo stesso tempo spaventoso e un enorme sollievo. Non sono preoccupato, mi infastidisce il fatto che ho ereditato il gene “fallato” che lo ha provocato e, nonostante quello che alcuni sostengono, odio sapere che il disturbo bipolare sarà con me fino alla fine dei miei giorni».

Rich: «Ero preoccupato la prima volta che me lo hanno diagnosticato (credo più che altro perché non sapevo ancora cosa fosse esattamente il disturbo bipolare) ma ho imparato molto su questa malattia. Mi influenza indipendentemente dal fatto che io abbia episodi maniacali oppure no».

Daniel: «Non provo niente riguardo alla mia diagnosi, non sono preoccupato. È una parte di me e l’accetto, anche se questo non vuol dire che non ci pensi».

Hannah: «Ho accettato la mia diagnosi di disturbo bipolare, non mi preoccupa anche se preferirei non averlo!».

Beth:«Essere bipolare non mi preoccupa molto ora che sono stabile. Mi terrorizza sapere che posso tornare a star male in qualunque momento ma so anche che posso contare sui medicinali nel caso in cui la situazione degeneri!».

3. Hai parlato della tua diagnosi con altre persone? Ti importa del loro giudizio?

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Lydia: «Non parlo del mio bipolarismo con tutti. Mi confido con le persone che mi stanno vicino perché riconosco di avere bisogno di sostegno per gestirmi meglio».

Hannah: «Sono tranquilla riguardo il mio disturbo, ne parlo senza problemi e mi piace sensibilizzare la gente su questo tema per far comprendere che non riguarda solo un numero ristretto di persone».

Jon: «Io sono sempre molto aperto con le persone, la maggior parte della gente è comprensiva quando riconosce i segnali del bipolarismo: me lo fa notare con gentilezza e mi chiede come potermi dare una mano per aiutarmi».

Rich: «Ne parlo tranquillamente con la mia famiglia e con gli amici più intimi. Non mi interessa quello che pensano di me ma divento diffidente quando viene fuori l’argomento con persone nuove perché mi spaventa l’opinione che possono farsi di me».

Beth: «Io lo dico a tutti che sono bipolare. È una parte di me quindi se qualcuno è infastidito non esito a chiudere subito il rapporto!».

4. Puoi usufruire di una buona rete di sostegno?

Lydia: «Sì, ho mantenuto le amicizie d’infanzia e ricevo un grande sostegno dal mio medico di famiglia».

Jon: «No, non esco con molte persone. Gli “amici” della mia squadra di ciclismo mi stanno molto vicino. Sarei morto senza la mia compagna. Mio figlio maggiore capisce i miei stati d’animo e si prende cura di me mentre con gli altri miei figli non ho un buon rapporto e non vedo mai i miei nipoti. I servizi di salute mentale sono pessimi: quando si ha bisogno di aiuto non si ha l’energia necessaria per chiederlo e quando si è nella fase maniacale del disturbo bipolare si pensa di non averne bisogno».

Hannah: «L’unico sostegno è la mia famiglia – quando hanno tempo e possono dedicarsi a me. Sono comunque abbastanza autosufficiente».

Daniel: «Penso di sì, grazie agli amici e al mio cane riesco sempre a trovare un modo per rimettermi in piedi».

Beth:«Ho un sostegno eccellente. Posso contare sul mio terapista che vedo tutte le settimane, su mia mamma che è una vera roccia, è lei che mi incoraggia ad andare avanti a piccoli passi».

5. Puoi raccontare la tua peggiore fase maniacale vissuta finora?

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Lydia: «È un po’ imbarazzante rispondere a questa domanda! Essendo affetta da bipolarismo di tipo 2 ho fasi ipomaniacali che la maggior parte delle volte vengono considerate come parte della mia personalità. Mi ritrovo a voler fare tutto e subito, ho grandi ambizioni, comincio e investo su tanti progetti ma non ne finisco uno, voglio sempre essere al centro dell’attenzione e l’anima di tutte le feste. Parlo e penso velocemente, mi irrito facilmente con le altre persone. In questa fase ho spesso degli scatti d’ira e quando succedono non sono belli da vedere. Divento paranoica e spesso mi sembra che le persone parlino male di me. Mi ossessionano cose che di solito non mi preoccupano».

Jon: «Difficile scegliere la peggiore. Probabilmente quella più spaventosa fu guidare da Tamworth in Staffs fino a Bowness che si trova in Lake District. Il viaggio è durato circa 2 ore, non ho memoria del tragitto percorso e Dio solo sa come sono arrivato a destinazione».

Rich: «Difficile sceglierne una perché le mie fasi maniacali si assomigliano tutte. Si tratta per lo più di comportamenti impulsivi in cui mi prendo dei rischi non calcolati e a volte posso diventare anche aggressivo. Quando sono in quella fase mi sento invincibile e quindi non valuto le conseguenze delle mie azioni. Ho problemi di insonnia ma non me ne preoccupo dato che l’obiettivo è fare tutto quello che mi viene in mente infischiandomene di tutto il resto».

Daniel: «La peggiore è stata probabilmente lo scorso Natale quando ho fatto una scommessa e ho vinto 5.000 sterline, dopo però ho continuato a giocare d’azzardo e ho perso tutto. Per più di un mese ho continuato a giocare scommettendo cifre sempre più alte perché pensavo di essere imbattibile».

Beth: «Difficile da dire perché non mi ricordo tutto e per ricostruire quello che è successo spesso ho bisogno che alcune persone riempiano i miei buchi di memoria. Quando ero nella fase leggermente ipomaniacale ero molto produttiva, avevo sempre un milione di cose da fare, ero sempre molto eccitata, correvo da una persona all’altra perché mi sentivo la migliore amica di tutti! Quando la fase maniacale si acuiva diventavo incoerente, ero sempre di corsa, la mia mente pensava veloce, ero sempre super felice, pensavo quasi di poter volare e uscivo sempre di corsa lasciando aperta la porta di casa senza preoccuparmene. Mi sono messa nei guai quando ho iniziato a fare dei trattamenti a casa pensando di aver ricevuto il talento in dono da Buddha (anche se non sono religiosa), giravo su me stessa pensando di vedere realmente cose che in realtà non c’erano. Tutto era bellissimo. Mi sono spogliata in pubblico. Sono andata alla ricerca di persone da salvare, ero convinta di poter guarire malattie, resuscitare morti e sentire voci di persone che chiedevano il mio aiuto. Ho comprato un volo per l’America anche se non avevo il passaporto e ho acquistato anche una jacuzzi. Ero sempre in stato confusionale e delirante ma mi sentivo felice e positiva per tutto».

6. Adesso puoi raccontare la tua peggiore fase depressiva?

Lydia: «La peggiore fase depressiva ce l’ho avuta da poco. È una sensazione terribile, non ci sono speranze nel domani, non ci sono motivi per alzarsi dal letto la mattina e quando ci si alza si è talmente demotivati e tristi che si trascorrono ore a oziare. C’è un rumore costante e paralizzante dentro la testa ed è come ascoltare un terribile monologo dentro di sé. Tutto richiede sforzi enormi, si sentono gambe e braccia pesanti e si fa fatica a fare qualunque movimento. Si ha la sensazione quasi di non esistere e niente ha più importanza».

Hannah: «La peggiore è stata quando mi hanno ricoverata nel reparto della clinica psichiatrica di St George».

Jon: «La peggiore fase depressiva è stata durante la mia ultima visita in cui mi hanno comunicato la diagnosi di bipolarismo. Durante la notte ho avuto la sensazione di non possedere nulla e soprattutto di valere nulla. Non ho parlato con nessuno per settimane e ho minacciato di picchiare il coro che cantava le canzoni natalizie perché volevo essere lasciato in pace. Non ho visto la mia compagna fino a Capodanno quando mi ha portato qualcosa da mangiare dato che non mangiavo da 10 giorni».

Daniel: «Succedeva a scuola, ero autolesionista, volevo solo sparire ma facevo qualunque cosa pur di sentire qualcosa».

Rich: «È stato quando ero sul punto di suicidarmi. Nel 2013 ero nel mio peggior periodo depressivo. Autolesionismo, avevo un sacco di pensieri suicidi che pianificavo fino all’ultimo dettaglio».

Beth: «Non mi sono alzata dal letto per 5 giorni; non mi sono mai fatta la doccia e ho dovuto trovare la forza per alzarmi almeno per andare in bagno. Ho avuto tanti pensieri suicidi e in più occasioni ho pensato seriamente di porre fine alla mia vita. Faceva male respirare, faceva male anche vivere. Ogni giorno speravo di avere le energie necessarie per suicidarmi. Quando ce le avevo ci ho provato molte volte. Odio le mie fasi depressive».

7. Pensi che la diagnosi di bipolarismo abbia ostacolato in qualche modo la tua vita?

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Lydia: «Ho sperimentato qualunque tipologia di ostacolo ma credo che la gente provi veramente pena per me quando dico loro che avrei voluto non l’avessero fatto. Non voglio essere compatita… vorrei solo che si capisse che per me è dieci volte più difficile arrivare a fine giornata rispetto ad una persona che non soffre di bipolarismo. Sono una vera guerriera e non qualcuno da compiangere, perché io sono forte!».

Rich: «Per me è stato un bene conoscere la diagnosi perché grazie a quella ho compreso il motivo per cui mi sentivo in quel modo e le ragioni che mi hanno spinto a fare le cose che ho fatto. È stato arduo e lo sarà anche in futuro ma è il punto di partenza per procedere nel modo giusto».

Beth: «La diagnosi ostacola sicuramente la vita a causa degli stereotipi e delle generalizzazioni che vengono fatte inevitabilmente dalle persone nonostante la malattia abbia comunque un impatto diverso su persone diverse».

8. Hai avuto problemi a mantenere i rapporti?

Lydia: «Assolutamente sì, anche se penso che li abbiano molte persone. Deve essere difficile vivere con qualcuno che un giorno vuole staccarti la testa perché non ti muovi abbastanza velocemente e il giorno dopo vorrebbe essere morto».

Jon: «Sì. Tengo le persone a distanza per la loro e la mia sicurezza. Solo la mia compagna non ha mai rinunciato al nostro rapporto. Ho deciso di non suicidarmi perché la amo tantissimo ma se potessi morire ne sarei contento per non esserle più di peso».

Daniel: «Penso che le relazioni siano una lotta continua, che ci sia o meno il disturbo bipolare. Certi giorni sentimenti ed emozioni si accendono e si spengono quasi come se a provarle fosse un robot. Ci si sente freddi, anaffettivi e senza cuore, e queste emozioni si provano tutte insieme nella propria testa avendo così una percezione surreale. L’importante è non mostrare a nessuno niente di tutto questo».

Beth: «No, posso dire di avere dei buoni rapporti. I miei cari sono molto comprensivi con me».

Hannah «Ho avuto seri problemi in passato. La gente non mi piace!».

9. C’è una cosa che vorresti dire alle persone che non soffrono di bipolarismo?

Lydia: «Quello che ho detto prima: non mi compatite perché io sono forte. Sto bene e anche se lotto quotidianamente per resistere, vorrei che non mi venisse chiesto ogni giorno se mi sento meglio. Se oggi per me è un buon giorno, allora per me è già abbastanza così».

Jon: «Non pensate di mettervi nei miei panni e sopportare meglio di me la mia malattia. Non resistereste a lungo».

Daniel: «Mi piacerebbe che le persone provassero come ci si sente. È difficile lavorare e interagire con i colleghi dato che mi vedono sempre come quello che fa qualunque mansione e nel minor tempo possibile, quando mi trovo nelle mie lunghe fasi maniacali. A tante persone non piace questa attitudine, disapprovano che si usi il bipolarismo sia a proprio vantaggio che per aiutare anche gli altri. Quando poi invece cado nella fase depressiva allora mi sento come se avessi deluso tutti».

Rich: «Vorrei che capissero che non si tratta solo di sbalzi di umore come possono avere tutti. Sono esperienze estreme che hanno un notevole impatto sulla propria vita».

Beth: «Vorrei che la smettessero di stigmatizzarmi: sono sempre io nonostante l’etichetta che mi viene appiccicata addosso e non penso di essere un mostro – sono sempre la solita pazzerella».

Hannah: «Vorrei che si rendessero conto che sono fortunati e che la smettessero di lamentarsi della loro vita!»

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